Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

martedì

Kitchen, di Banana Yoshimoto


Banana Yoshimoto è nata a Tokyo nel 1964, figlia di uno dei più importanti filosofi giapponesi degli anni sessanta, con una sorella conosciuta come una delle migliori fumettiste di anime giapponesi. Laureata al college delle arti, “Kitchen” è il suo primo romanzo con oltre sessanta ristampe in Giappone. Quando ho iniziato a leggerlo ho trovato uno dei più begli incipit mai letti:

“Non c’e’ posto che io ami di più della cucina. Non importa dove si trova, com’e’ fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi. Nei momenti in cui sono molto stanca, mi succede spesso di fantasticare. Penso che quando verrà il momento di morire, vorrei fosse in cucina…”

Certo, il mio criterio estetico qui si identifica con il mio stile di vita, ma poco importa. Kitchen è un romanzo sulla solitudine giovanile che utilizza un linguaggio assai fresco e originale, una rielaborazione letteraria dello stile dei fumetti manga. Una storia di madri, amore, tragedia, l’influenza della cucina e della casa sulle vite. Il segreto di tanto successo? Probabilmente più che i contenuti, sono le atmosfere. Descrive sensazioni che riportano all'infanzia, che soprattutto i più piccoli provano nella loro genuinità. Cose molto semplici, una bella giornata di sole, la separazione da una persona cara…l’amore per il cibo e per il suo tempio, la cucina per l’appunto. Emozioni che tutti abbiamo provato in una fase della nostra vita, e che come tali possono essere recepite da tutti.
Un libro che non mi ha stregato ma ammetto che a tratti l’apparente semplicità di alcune narrazioni ha fatto eco nella mia mente e nel cuore, come quando ho letto del fenomeno Tanabata: ogni cento anni  è possibile vedere, presso i grandi fiumi, l’immagine di una persona cara che è morta. Questo, però, avviene solo se c’è corrispondenza tra i pensieri di chi è morto e il dolore di chi lo ha perduto…Chi di noi non ha almeno una persona cara da voler vedere su quel fiume, quel giorno, per un ultimo saluto? 

Voto: ***
Il Bignamino: Cucino, dunque sono

mercoledì

L'eleganza del riccio, di Muriel Barbery

 Muriel Barbery è un ex insegnante di filosofia dell'educazione in Normandia, una francese affascinata dal Giappone e dalla cultura giapponese, un fascino ed un’ammirazione che emergono con forza dal suo secondo romanzo “L'eleganza del riccio” uscito in Francia nel 2006.
La narrazione di questo libro è affidata a due voci femminili che si alternano irregolarmente esprimendosi in prima persona e si rapportano entrambe al lettore creando due personaggi tanto apparentemente diversi quanto intimamente uguali.
La prima voce è quella di Renée, portinaia cinquantaquattrenne di un immobile che si trova al numero 7 della rue de Grenelle, via situata nel settimo arrondissement di Parigi, quartiere alto borghese, abitato per lo più da intellettuali tendenzialmente di sinistra. Renée è curiosa e colta, ma ai ricchi inquilini fa credere di essere identica allo stereotipo della portinaia, e dunque li rassicura mettendo a tutto volume un programma trash, e mentre loro la immaginano «stravaccata davanti all' apparecchio», si rintana in una stanzetta ed ascolta Gustav Mahler ed Henry Purcell, ha letto Marx e ama gli scrittori russi (Il suo gatto si chiama Lev in omaggio a Tolstoj), discetta sulla fenomenologia di Husserl e ama i film di Yasujiro Ozu. Per dar forza alla sua clandestinità veste sciattamente, fa continue spese ostentando sporte da cui emergono ciuffi di verdura, grosse fette di carne o prosciutto, pasta e passata di pomodoro, e via dicendo. Il prologo da già un’idea del personaggio e del suo camuffamento
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   «Marx cambia completamente la mia visione del mondo» mi ha dichiarato questa mattina il giovane Pallières che di solito non mi rivolge nemmeno la parola.
   Antoine Pallières, prospero erede di un'antica dinastia industriale, è il figlio di uno dei miei otto datori di lavoro. Ultimo ruttino dell'alta borghesia degli affari - la quale si riproduce unicamente per singulti decorosi e senza vizi -, era tuttavia raggiante per la sua scoperta e me la narrava di riflesso, senza sognarsi neppure che io potessi capirci qualcosa. Che cosa possono mai comprendere le masse lavoratrici dell'opera di Marx? La lettura è ardua, la lingua forbita, la prosa raffinata, la tesi complessa.
   A questo punto, per poco non mi tradisco stupidamente.
   «Dovrebbe leggere L'ideologia tedesca» gli dico a quel cretino in montgomery verde bottiglia.
   Per capire Marx, e per capire perché ha torto, bisogna leggere L'ideologia tedesca. È lo zoccolo antropologico sul quale si erigeranno tutte le esortazioni per un mondo migliore e sul quale è imperniata una certezza capitale: gli uomini, che si dannano dietro ai desideri, dovrebbero attenersi invece ai propri bisogni. In un mondo in cui la hybris del desiderio verrà imbavagliata potrà nascere un'organizzazione sociale nuova, purificata dalle lotte, dalle oppressioni e dalle gerarchie deleterie.
   "Chi semina desiderio raccoglie oppressione" sono sul punto di mormorare, come se mi ascoltasse solo il mio gatto.
   Ma Antoine Pallières, a cui un ripugnante aborto di baffi non conferisce invece niente di ferino, mi guarda, confuso dalle mie strane parole. Come sempre, mi salva l'incapacità del genere umano di credere a ciò che manda in frantumi gli schemi di abitudini mentali meschine. Una portinaia non legge L'ideologia tedesca e di conseguenza non sarebbe affatto in grado di citare l'undicesima tesi su Feuerbach. Per giunta, una portinaia che legge Marx ha necessariamente mire sovversive ed è venduta a un diavolo chiamato sindacato. Che possa leggerlo per elevare il proprio spirito, poi, è un'assurdità che nessun borghese può concepire.
   «Mi saluti tanto la sua mamma» borbotto chiudendogli la porta in faccia e sperando che la disfonia delle due frasi venga coperta dalla forza di pregiudizi millenari.
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La seconda voce è quella di Paloma (e del suo journal intime), ragazzina dodicenne altrettanto determinata ad occultare i propri talenti al mondo dei superficiali borghesi. Lei finge di essere una ragazzina come le altre, si veste come loro, a scuola segue bene ma senza emergere, pur essendo straordinariamente in anticipo rispetto alle coetanee, è capace ad esempio di leggere i manga Jirō Taniguchi in lingua originale.
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Ieri sera a cena la mamma ha annunciato che esattamente dieci anni fa ha cominciato la sua "anaalisi", come se fosse un buon motivo per fare scorrere fiumi di champagne. Siete tutti d'accordo che è una cosa me-ra-vi-glio-sa! Mi pare che solo la psicanalisi possa competere con il cristianesimo nella predilezione per le sofferenze prolungate. Quello che mia madre non dice è che da dieci anni prende degli antidepressivi. Ma evidentemente non mette in relazione le due cose. Credo che gli antidepressivi non servano ad alleviare le sua angosce, ma a sopportare l'analisi. Quando racconta le sue sedute, c'è da sbattere la testa al muro. Il tizio fa «Hmmm» a intervalli regolari ripetendo i finali delle frasi («E sono andata da Lenôtre con mia madre»: «Hmmm, sua madre?»; «Mi piace molto la cioccolata»: «Hmmm, la cioccolata?»). Se è così, domani posso lanciarmi anch'io nella psicanalisi. Oppure le propina delle conferenze della «Causa freudiana» che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non sono dei rebus ma dovrebbero avere un qualche significato. Subire il fascino dell'intelligenza è davvero molto affascinante. Secondo me l'intelligenza non è un valore in sé. Di gente intelligente ce n'è a pacchi. Ci sono molti dementi, ma anche molti cervelli eccezionali. Sarà una banalità, ma l'intelligenza in sé non ha alcun valore e non è di nessun interesse. C'è gente molto capace che ha speso una vita sulla questione del sesso degli angeli, per esempio. E molte persone intelligenti hanno una specie di bug: credono che l'intelligenza sia un fine. Hanno un'unica idea in testa: essere intelligenti, e questa è una cosa stupidissima. E quando l'intelligenza crede di essere uno scopo, funziona in modo strano: non dimostra la sua esistenza con l'impegno e la semplicità dei suoi frutti, bensì con l'oscurità della sua espressione.
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Paloma è a tal punto lucida e consapevole della vanità del tutto (in particolare della rinuncia agli ideali di cui l'età adulta è ai suoi occhi irrimediabilmente schiava) da aver deciso di uccidersi, il giorno del tredicesimo compleanno, per non dover passare anche lei dalla parte della rinuncia. Una rinuncia a priori insomma, scelta invece che subita.
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la gente crede di perseguire ideali, raggiungere l’altezza delle stelle, ma si finisce tutti “comme des poissons rouges dans un bocal” (come dei pesci rossi in una boccia).
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Lo sguardo di Renée e di Paloma si posa sul microcosmo del condominio dove risiedono, invita a riflettere con una semplicità disarmante, e la semplicità, spesso, non è facile da raggiungere. I due diari procedono in forma contrappuntistica: dapprima hanno in comune solo la scelta della clandestinità e l’ambiente esterno; poi si sorreggono l’un l’altro e, infine, grazie all’azione catalizzatrice di Monsieur Ozu, si incontrano e si completano tra di loro, proprio come avviene alle rispettive redattrici. L’incontro avviene a livello più alto, ben al di là delle differenze sociali e contingenti, avviene a livello della Bellezza, dell’attimo eterno sottratto al fluire insensato. La gentilezza, l’amicizia, la solidarietà sottraggono, magari solo per un attimo, ma per sempre, a un Tempo volgare e ostile, la Vita.
Ci sono anche altri personaggi di valore, la domestica portoghese di casa de Broglie ad esempio, che invece di rientrare nello stereotipo della gretta donna delle pulizie è una vera ristocratica che "sebbene circondata dalla volgarità, non ne viene sfiorata".
Tutto qui? E la ragione del successo di questo libro? Immagino che molto si basi sulla simpatica furbizia della morale non nascosta del libro: non bisogna mai fidarsi delle apparenze. Perché se la più sciatta e scorbutica portinaia parigina (il «riccio» di cui pagina dopo pagina si scopriva l'eleganza) può nascondere cultura e sensibilità, allora anche il più bistrattato lettore può aspirare allo stesso riconoscimento. C’e’ inoltre l’educata denuncia della superficialità borghese e la simpatica trasformazione del «bruco/riccio» Renée in farfalla, utilizzando tutti gli ingredienti che fanno la forza delle favole, dal mito di Cenerentola a quello della rivincita degli oppressi, dal fascino dell'Oriente (e dei suoi «sorprendenti» bagni) alla lungimiranza giovanile (e dei suoi coinvolgenti entusiasmi), dalla forza dell'amore al dramma della morte. Senza dimenticare il piacere di una citazione tolstoiana messa lì al momento opportuno.
 Ciò malgrado il libro non mi ha entusiasmato, si avverte a volte uno “slittamento di piani” in cui ci si chiede se a parlare fosse Renée o piuttosto Paloma. Senza contare che la filiale-materna corrispondenza tra l’adolescente e la donna matura sboccia quasi per incanto, non troppo suffragata dallo svolgimento della narrazione, e a meno di voler dire che “le anime belle si riconoscono subito fra di loro”, fa sorgere il dubbio che Renée e Paloma, pur presentate con tante differenze, non siano in realtà che una voce sola. Eccede inoltre in più di un’occasione in dissertazioni e citazioni appesantendo la storia con un eccesso di nozionismo, bloccandola, irrigidendola. Personalmente trovo che la narrazione decolli solo all'arrivo di Monsieur Ozu, in cui finalmente l'autrice si dedica al personaggio in quanto tale e non al personaggio in quanto veicolo di pensieri.
Rimane comunque un libro piacevole, a tratti molto piacevole, che mi ha spinto ad aggiungere nella mia wish list i libri “Teresa Desqueyroux” e “Groviglio di vipere” del nobel François Mauriac, mi ha fatto ascoltare per la prima volta alcuni brani di Georg Friedrich Händel, il terzo atto di Dido and Æneas di Purcell e…il rap MC Solaar, e mi sono ripromesso di “assaporare lo spettacolo” del Wabi-cha, stile della Cerimonia del tè giapponese praticata secondo gli insegnamenti dei monaci buddisti. Quindi un bilancio sicuramente positivo, che mi spinge a consigliare questo libro soprattutto ai più curiosi ed eclettici lettori di anobii.

La citazione: …lo sguardo è come una mano che tenta inutilmente di afferrare l’acqua che scorre. Si, l’occhio percepisce ma non scruta, crede ma non interroga, recepisce ma non indaga, è privo di desiderio e non persegue nessuna crociata

Titolo originale: L'élegance du hérisson
Traduzione di Emanuelle Caillat e Cinzia Poli

venerdì

Una storia semplice, di Leonardo Sciascia


Leonardo Sciascia
Una storia semplice Adelphi
18 marzo 1989, una telefonata improvvisa è la premessa di un crimine, un omicidio, di carattere malavitoso, intorno al quale si stringe un cerchio di omertà e di paura, un delitto in cui la mafia si nasconde attraverso un’immagine di giustizia, e si impone su coloro che sono “vinti” dalla vita costringendoli a percorrere una strada di silenzio e di sottomissione.
Una scrittura precisa e asciutta che lascia poco o nulla alla retorica, un modo di scrivere è perfettamente calzante con questo passaggio:

“il brigadiere cominciò a fare il suo lavoro di osservazione, in funzione del rapporto scritto che gli toccava poi fare: compito piuttosto ingrato sempre, i suoi anni di scuola e le sue non frequenti letture non bastando a metterlo in confidenza con l’italiano. Ma, curiosamente, il dover scrivere delle cose che vedeva, la preoccupazione, l’angoscia quasi, dava alla sua mente una capacità di selezione, di scelta, di essenzialità per cui sensato ed acuto finiva con l’essere quel che nella rete dello scrivere restava. Così è forse degli scrittori italiani del meridione, siciliani in specie: nonostante il liceo, I’università e le tante letture.”

Amo la Sicilia, e quanto mi colpisce rivedere in certi passaggi quella “indifferenza” alla morte, naturale e causata,  che è tipica delle generazioni antecedenti alla mia…e non solo:

“Io voglio sapere da lei, signora, se ha qualche ragione o sospetto riguardo all’uccisione di suo marito” La signora scrollo le spalle “Era siciliano” disse “e i siciliani, ormai da anni, chi sa perché, si ammazzano tra loro” “giudizio indefettibile”disse ironicamente il figlio”

“Ma il professore parlò dei propri mali, lasciando memorabile al brigadiere (ma non condivisibile nell’energia dei suoi trent’anni) la frase che ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza”

lunedì

La regina dei castelli di carta, di Stieg Larsson


Se si è iniziato il terzo (ed ultimo) romanzo della trilogia Millenium, vuol dire che lo si leggerà con la testa ed il cuore rivolti alla giovane hacker  Lisbeth Salander. L’avevamo lasciata immobilizzata in un letto d'ospedale con una pallottola in testa. Come sempre è una minaccia, stavolta per i potenti organismi segreti che rischiano di crollare come castelli di carta. Deve sparire, meglio se rinchiusa in un manicomio, la cospirazione di cui si trova suo malgrado al centro, iniziata quando aveva solo dodici anni, deve terminare adesso, con o senza la sua vita. E poco importa che la trama sia costellata di storielle parallele di dubbio interesse, che vi siano personaggi extra che appaiono e scompaiono in qualche capitolo, che continui l'irritante attività sessuale di Blomkvist alla cui porta bussano in continuazione donne che desiderano farsi sollazzare senza impegno da lui (che la mia sia solo invidia?); poco importa l’interesse nullo per le impronunciabili strade di Stoccolma o per la storia politica svedese perchè i nostri personaggi, fortunatamente, continuano ad essere loro, a non deludere e ad appassionare, si riaffermano in tutte le loro caratteristiche: il disumano Zalachenko ed il suo inquietante figlio, l’inarrestabile giornalista Mikael e sua sorella Annika Giannini che accetta la difesa legale di Lisbeth, oltre all'eterna amante Erika Berger…e Lei, l’Unica, la versione cyber-punk di Pippi Calzelunghe (Larsson era un fan di Astrid Lindgren), Lisbeth.
Sembra che Larsson sul divano bianco dell'appartamento di Stoccolma era solito rivolgere a Eva Gabrielsson, la sua compagna di oltre trent'anni, i suoi  «Non indovinerai mai che cosa ha appena fatto Lisbeth Salander». Perche’ alla fine della trilogia ci si è ormai affezionati a lei, forse innamorati, ed allora poco importano i diversi, presunti, difetti, la domanda che ci si pone e’ sempre la stessa, quella dell’autore, di cosa sarà mai capace stavolta Lisbeth Salander?
    Forse è vero che Lisbeth è un’icona di ciò che molte ventenni vorrebbero essere, e di come molte 45enni oggi vorrebbero essere state. E’ ribelle e intelligente, anticonformista in senso stretto, una che ama vivere al suo personalissimo modo e secondo le sue regole con una forte allergia per qualsiasi tipo di autorità. E’ sociopatica, cinica, dura e soffre di una sindrome con una vaga componente autistica.
Un personaggio commovente ed intenso, che si ha l’impressione abbia preso vita e spazio, pian piano, fino a che Larsson, intelligentemente, non si è limitato solo a gestirlo, approfittando di un profilo psicologico inquietante ma pieno di fascino, ma ne ha fatto il perno attorno a cui ruota l’intera trilogia. E alla fine questo terzo volume non solo è godibile quanto gli altri ma per una volta chiude degnamente una trilogia. E se così non fosse, poco importa perchè alla fine, ciò che rimane davvero è l’immagine unica ed indimenticabile di lei, di Lisbeth, una donna che odia gli uomini che odiano le donne.

The End? Forse, ormai spero nel quinto volume, contenuto nel pc di Stieg e custodito da Eva Gabrielsson, e spero che dall’aldilà’ Stieg detti a qualche medium anche il quarto manoscritto, in cui farebbe la sua comparsa la sorella gemella di Lisbeth Salander. La speranza è come Lisbeth, l’ultima a morire.

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martedì

La ragazza che giocava con il fuoco, di Stieg Larsson

Il giornale Millenium è in procinto di dare alle stampe un'esplosiva inchiesta: la denuncia riguarda un intero sistema di violenze e soprusi, e non risparmia poliziotti, giudici e politici, perfino esponenti dei servizi segreti. Ma poco prima di andare in stampa, un triplice omicidio fa sospendere la pubblicazione, mentre si scatena una vera e propria caccia a… Lisbeth Salander. Si parla di donne, donne maltrattate, violentate, oltraggiate, seviziate, uccise, non poteva che essere lei la protagonista di questo secondo volume, Lisbeth, il filo d’Arianna attorno al quale si svolgono trame contemporanee, seppure sganciate l’una dall’altra. L’asociale Lisbeth,  che è stata internata nel reparto di psichiatria e che è fuggita da tutte le famiglie affidatarie, l’hacker brillante a cui nessun computer è precluso e che si diletta con il teorema di Fermat. In questo volume si innamora, picchia a mani nude dei teppisti, fa scappare il gigante cattivo, si fa una plastica al seno, una vacanza ai Carabi ed un appartamento al centro di Stoccolma. Affronta nemici e difficoltà con le armi della ragionevolezza matematica, “azione uguale reazione”, in una narrazione che si snoda con una sorta di meticolosa calma.

Lo scontro decisivo è un grande campo aperto dove in gioco c’è sempre la sopravvivenza, con un finale degno del grand guignol teatrale (o del set di Quentin Tarantino) con un ritmo serrato che ci fa salire il cuore in gola. La fine ci lancia alla lettura spasmodica del terzo volume, nell’analisi del contorto animo umano dei protagonisti, della negligente accettazione dell’oscurità interiore, del male reso potente da compromessi silenziosi e che si abbatte sulla vita devastata di Lisbeth, insegnandole a non aver piu’ paura.

"La notte in cui aveva compiuto tredici anni aveva deciso che non avrebbe mai più scambiato una sola parola con Peter Teleborian né con nessun altro psichiatra o neurologo. Era il suo regalo di compleanno a se stessa. E aveva mantenuto la promessa. Sapeva che questo avrebbefrustrato profondamente Teleborian contribuendo forse più di ogni altra cosa a farla imbrigliare notte dopo notte al suo giaciglio. Ma era un prezzo che era disposta a pagare."

Stieg Larsson - La ragazza che giocava con il fuoco
 Titolo originale: Flickan som lekte med elden
Traduzione di Carmen Giorgetti Cima
 754 pag., 19,50 € - Edizioni Marsilio 2008 (Farfalle)
ISBN 978-88-317-9498-5

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lunedì

Me parlare bello un giorno, di David Sedaris

La letteratura è un'arte magica, può trasformare con le sue affascinanti alchimie anche le realtà più grigie per ripresentarcele sotto aspetti inattesi, nuovi e originali, ironiche senza essere ciniche, misurate e caustiche al tempo stesso. Le storie di Sedaris sono da molti considerate il meglio di quanto questo tipo di letteratura oggi sia in grado di offrire, ed io sono diventato parte di quei molti.

David Sedaris e’ un umorista newyorchese di origini greche che dalle frequenze di Public Radio International spargeva aneddoti al vetriolo ed impietosi racconti autobiografici nel celebre programma This American Life. La sua vita non è certo la classica epopea americana del self made man, quanto piuttosto la biografia stralunata, blasfema e bonaria di un dropout che ha fatto della propria goffaggine, della propria fastidiosa mancanza di fascino, la sua croce e delizia. Il suo punto di vista è disincantato, curioso, ironico e tenero, brutalmente onesto e irresistibilmente sconveniente.

Nel libro “Me parlare bello un giorno” racconta la sua eroica resistenza ai tentativi di una logopedista nel correggere un difetto di pronuncia, le spassose imprese con Victor Mancini, nano insegnante letteralmente ossessionato dai seni femminili, la sua vita in Francia (il titolo del libro fa riferimento alle difficoltà di costruzione delle frasi in francese), in un campionario di inettitudini assortite e quotidiani paradossi.
Io ho vissuto in Francia tre anni e leggendo questo libro ho ricordato i penosi incoraggiamenti dei Francesi al mio primo minuscolo campionario di parole:

«Quando l’estate successiva andai in Francia, conoscevo soltanto l’equivalente francese della parola cavatappi. Dissi “cavatappi” all’aereoporto, “Cavatappi” sul treno per la Normandia, e “Cavatappi” quando mi trovai di fronte a quel cumulo di sassi che era la casa di campagna di Hugh. Non c’era acqua corrente, non c’era elettricità e nemmeno un posto dove comprare i tubi e i fili necessari qualora a uno fosse venuta voglia di vivere con un impianto idraulico o con la corrente elettrica. E non essendoci nulla di decente da comprare, va da sè che la gente mi accolse con grande entusiasmo. Sarebbe stato lo stesso se un francese fosse venuto in visita che so, Knightdale in Carolina. “Santo cielo” avrebbero detto tutti. “Tanta strada per venire a vedere noi?”. Avessi avuto un vocabolario più ampio, avrei potuto rispondere: “Emh, no, non esattamente”. Ma in quella circostanza offrii l’unica risposta possibile: “Cavatappi”.
“Oh cavatappi” mi dicevano, “Lei parla molto bene.” »

Ho riso spassosamente ricordando con quale sicurezza noi italiani prendevamo in giro ogni straniero che ci circondasse, di faccia a faccia, parlando in italiano, rischiosamente presupponendo che nessuno potesse comprenderci.

Sedaris dice di se:

“Sono così felice di avere a disposizione tante stronzate ed esperienze umilianti che ho vissuto in passato! Ci penso su e mi dico: wow, è una storia bellissima! Perché se ti metti a scrivere delle stronzate e delle umiliazioni per come le hanno vissute altri, ti giuro che non funziona. Cioè, puoi farlo, ma ti riesce molto meglio se racconti che autentica merda sei tu. E' molto più facile in questo modo! E io sono il personaggio più stronzo in ciascuno dei racconti di questo libro - ma è tutto vero, non c'è nulla di finto. Te lo giuro: io sono la merda più merda che ci sia. Cioè, posso anche fare finta, ma la verità è che mi faccio parecchio schifo”.



David Sedaris
Me parlare bello un giorno
Mondadori, pp.269, euro 15,00 (traduzione di Matteo Colombo)

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venerdì

Uomini che odiano le donne, di Stieg Larsson


Ho acquistato Uomini che odiano le donne, primo capitolo della trilogia Millennium, in seguito alla pletora di amici e persone che stimo che insistevano nel consigliarmelo. Non faccio parte di quelli che a priori non leggono i casi editoriali, in quanto non sopportano di seguire le masse e le loro letture; tra i bestseller ci sono libri di qualità letteraria indiscussa, se poi le case editrici riempiono di fascette idiote le copertine dei libri è un problema che non deve minimamente influenzare il lettore serio. A frenarmi fino ad ora è stato il mio non-amore per i gialli, ed iniziare una trilogia di oltre 2000 pagine significa non leggere altro per tutte le vacanze. Ma è estate, ed a un thriller, si sa, non è affidato l’alto compito di “fare letteratura" e tanto meno ci si aspetta che le sue pagine siano cesellate da ornamenti prosaici aulici. Un poliziesco è un libro per tutti, un compagno scanzonato che ci accompagna durante i tempi morti, stuzzica la curiosità e aguzza l’ingegno senza mai diventare aristocratico; bisogna sfogliarne le pagine con leggerezza, e cosi ho fatto .

Due parole sull’autore: Stieg Larsson e’ morto cinquantenne nel novembre del 2004 ancor prima di vedere pubblicato il suo libro d’esordio. Da sempre attivo per la libertà di parola, per la lotta contro il razzismo ed i movimenti di estrema destra, contro la violenza sulle donne, il giornalista ha ricevuto minacce da gruppi di naziskin e organizzazioni similari. Dopo un lungo tragitto fatto di indagini ed inchieste approfondite su questi argomenti, ha iniziato un progetto che originariamente intendeva, con dieci romanzi, mettere a nudo vizi e difetti della società svedese. La prematura scomparsa dell’autore ha bloccato quest’arduo compito al terzo episodio della saga.
In breve la trama: sono passati molti anni da quando Harriet, nipote prediletta del potente industriale Henrik Vanger, è scomparsa senza lasciare traccia. Da allora, ogni anno l'invio di un dono anonimo riapre la ferita dell'anziano Henry, un rito che si ripete puntuale e risveglia l'inquietudine di un enigma mai risolto. Henrik Vanger decide quindi di tentare per l'ultima volta di fare luce sul mistero che ha segnato tutta la sua vita. L'incarico di far emergere la verità dal lontano passato è affidato a Mikael Blomkvist che si avvale dell'aiuto di Lisbeth Salander. Ne nasce un mistery della "camera chiusa", questo è il termine che si usa per indicare i delitti che avvengono in uno spazio ben definito, e in cui il numero dei sospetti è, proprio in ragione dello spazio circoscritto, limitato ad una ristretta cerchia di individui.
La violenza sulle donne è il filo conduttore di tutto il romanzo, non solo per la presenza di donne maltrattate e abusate, ma anche per la scelta dell'autore di iniziare ogni capitolo con dati statistici relativi a questa problematica, continui riferimenti alla società svedese che sembra nascondere sotto il mantello del welfare un insieme di problemi e comportamenti devianti di non facile risoluzione: una donna su tre è vittima di molestie, il 18 per cento delle donne al di sopra dei quindici anni minacciato almeno una volta da un uomo. Larsson denuncia una realtà sempre sottostimata ma presente in modo più o meno appariscente in tanti rapporti. Il libro non approfondisce il perché di questo fenomeno, si limita a scandire con queste notizie l'avanzare della narrazione, quasi a ricordare al lettore che la storia è di fantasia, ma la violenza in giro è reale. Il contrasto tra questa realtà e la Svezia può sembrare stridente ma al contrario nella narrazione risulta molto intrigante. Il mio ricordo di Stoccolma è caratterizzato dalla luce che avvolgeva questa città, una luce fredda ed eterea, che sembrava non venire dal sole, ma dall’aria stessa. Allontanandomi dalla città inoltre ti colpisce un acuto senso di tranquillità, di solitudine, di pace. Per chi è abituato alla brulicante umanità delle grandi città, può apparire quasi alienante percorrere chilometri prima di incontrare anima viva. Rivivere queste atmosfere nel libro è stato emozionante, ed il contrasto fra l’ambientazione e gli efferati crimini che vi sono stati commessi è solo uno degli aspetti che rendono così avvincente questo thriller. Un altro fattore d’eccellenza del libro è la caratterizzazione psicologica dei personaggi, di gran fascino, originali e ben definiti, con una storia alle spalle che ne giustifica i comportamenti. Eroi ed eroine imperfetti come Mikael Blomkvist, fascino irresistibile, onnivoro appetito erotico, brillante giornalista economico di grande credibilità, direttore del mensile Millennium (una sorta di Report in versione giornalistica). L’altra protagonista è Lisbeth Salander, ventiquattrenne pallida di una magrezza anoressica, acuta ancorché problematica, dotata di qualità capaci di portare chi la conosce sull'orlo della disperazione; una squatter-hacker geniale ma dalla personalità asociale e disturbata, spigolosa ed introversa, con un passato e un presente dove la violenza gioca un ruolo determinante. Si guadagna il pane ficcando il naso negli affari degli altri, un’eroina che si fa spazio nel cuore dei lettori con la stessa facilità con cui riesce a penetrare nelle vite degli altri attraverso il suo computer. Con due personaggi cosi chi non vorrebbe essere nei panni del seduttore inconsapevole, che combatte dalla parte del bene? Chi, leggendo la prima parte che presenta col contagocce la strana Lisbeth, non desidera saperne ancora, finendo per godere della sua vendetta nei confronti di uno di loro, uno degli uomini che odiano le donne?
Ci sono anche degli aspetti che mi hanno convinto poco durante la lettura. La redazione giornalistica del Millennium ad esempio, praticamente questa rivista la fanno in tre e non si capisce chi scriva cosa. Eppure il valore aggiunto della narrazione dovrebbe essere proprio l’esperienza personale dell’autore. Ci sono inoltre molte, troppe pedine nei giochi di indagine che intrecciano le varie vicende, l’infodumping risulta a volte eccessivo in alcuni passaggi, e l’azione e’ carente per buona parte del romanzo. Carlo Fruttero per darne un giudizio cita il compositore francese Ravel che polemizzando con certi artisti del suo tempo, definiva la loro produzione “musique de robinet”, musica di rubinetto, quella che poteva andare avanti all’infinito, sempre eguale. Io, signor nessuno, non sono d’accordo, e’ vero che e’ un thriller a lievitazione lenta, e durante le prime cento pagine ci si sente navigare al buio, ma la scrittura ha una straordinaria alchimia che poco alla volta appassiona, avvolge, intriga. La trama avvince ed avanza con la sicurezza di una corazzata, coinvolge, emoziona, sorprende. Stupisce la capacità affabulatoria dell'Autore, la prosa di Larsson, nella sua disarmante semplicità, è il canto delle sirene per Ulisse, è che come una matassa invischiante il lettore, che si trova intrappolato in quella luce, in quell’aria rarefatta in cui sono immersi i personaggi del libro. Mai, come nel caso di questo scrittore prematuramente scomparso, è valso tanto il detto: non importa tanto quello che dici, ma come lo racconti.
C'è una grande assente nella narrazione: la famiglia cosiddetta naturale, quella per intenderci composta dai due sposi con i loro figli. Le persone coinvolte nella storia sono invece costantemente impegnate in tutti i triangoli e combinazioni possibili d’amori omo ed eterosessuali. Il tutto con molto rispetto, leggerezza e naturalezza ma, nonostante lo sforzo dell'autore, l'impressione è che anche nel terzo millennio senza la famiglia non si vada molto lontano, che nella società triste e fredda rimangono solo individui in fuga dalla solitudine, sballottati qua e là dai casi senza senso della vita, con l'amore usa e getta come antidepressivo.

Stieg Larsson
Uomini che odiano le donne (Män som hatar kvinnor)
Marsilio2007. ISBN 88-317-9332-2
Pagine 688
Prezzo 19,50 euro


Dice il Saggio: l'innocenza non esiste, esistono solo diversi gradi di responsabilità.

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martedì

undici minuti, di Paulo Coelho


Paulo Coelho torna in albergo al termine del festival della letteratura di Mantova e trova nella hall una busta. E' un manoscritto, un diario. «Ne ricevo moltissimi. Di solito non li leggo, ma questo mi incuriosì». Era di una giovane brasiliana che viveva a Zurigo e lavorava come prostituta in un night. Una storia vera pervasa da passioni, ideali e sesso, molto sesso, con un taglio straordinariamente sincero ed efficace. Fu un lampo di ispirazione e da li nasce undici minuti (il tempo medio necessario affinche’ un uomo raggiunga il piacere) in cui si narra la storia di Maria, una ragazza del sertão , il nord-est piu’ povero del brasile, un’adolescente come tante, con i sogni e le curiosità di una ventenne povera, che non conosce nulla del mondo e assai poco della vita. Da un viaggio a Rio de Janeiro, nasce l'incontro con un impresario di un night di Ginevra che la invita a prendere l'aereo con lui e lavorare come ballerina di samba in Svizzera. Maria decide di seguirlo, lasciando il certo per l’incerto, sicura che:

“Chi ha già perso qualcosa che riteneva di avere garantito (e a me è accaduto tante volte) finisce per capire che nulla gli appartiene. E se nulla mi appartiene, allora non devo assoluta¬mente sprecare il tempo preoccupandomi di cose che non sono mie. Meglio vivere come se oggi fosse il primo (o l'ultimo) giorno della vita”

La carriera come ballerina però dura poco, e con essa si spengono anche le speranze, i sogni, le prospettive di una vita agiata e felice coronata da un rientro trionfale in patria. Maria tenterà di lavorare come modella, ma ad un bivio della sua vita decide diversamente:

“«Accetta un drink? »…Il mondo cominciò a girare al rallentatore, e Maria ebbe la sensazione di uscire dal proprio corpo e di osservarsi dall'esterno. Morendo di vergogna, ma lottando per controllare il rossore delle guance, annuì, sorrise e capi che da quel momento la sua vita era cambiata per sempre”

Nel libro non c'è però alcuna denuncia, Maria potrebbe tornarsene a casa, nessuno abusa di lei o la sfrutta , vuole però intraprendere un viaggio alla ricerca della propria sessualità e dell’amore

“Il mio obiettivo è comprendere l’amore.”
“Se non penserò all’amore, non sarò niente.”

Dagli incontri con i suoi clienti sviluppa quindi la conoscenza degli uomini, frequentatori del suo locale, uomini d’affari, potenti, influenti, carismatici, esotici, ma tutti immancabilmente soli:

“L'essere umano può sopportare una settimana di sete, quattordici giorni di fame, alcuni anni senza un tetto, ma non riesce a tollerare la solitudine. È la peggiore delle torture e delle sofferenze”

Sarà un viaggio alla ricerca della propria “leggenda personale”, esplorato da una meretrice moderna , un viaggio senza tempo e senza spazio, al quale lo scrittore brasiliano ha abituato i suoi lettori. Maria è brasiliana per caso, Ginevra uno scenario come un altro, i personaggi (uomini) che le girano intorno sono universali. I sogni, gli ideali e i buoni sentimenti dell' opera di Coelho restano intatti anche quando Maria, nel suo diario, discetta di orgasmo vaginale o clitorideo, affronta la sfida del sadomasochismo e scopre il punto G. Anche la prostituzione di Maria e’ simbolo del nostro smarrimento nei labirinti della vita, dei lavori che detestiamo, ma che facciamo per tutta la vita non trovando il coraggio di liberarcene. Alla fine di ogni capitolo Coelho ci fa leggere le pagine del diario di Maria, frammenti dell’anima, schegge di paure inconsce , autoanalisi coscienziosa del percorso compiuto, in questo modo la narrazione diventa molto più intima e costellata di riflessioni e massime sull’amore. La storia subisce una decisiva svolta nel momento in cui Maria incontra due persone speciali

“Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano. Generalmente, essi avvengono quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente”


Questi due uomini le cambieranno definitivamente la vita, ponendola di fronte alla scelta tra luce e tenebre, tra il delicato e romantico principe azzurro e l’attraente e violento antagonista.
Il primo e’ Ralf, pittore carismatico, artista che riesce a vedere la dove gli altri non vedono (vero alter ego dell’autore). Maria si sentira’ nuovamente viva quando lui la guardera’, dipingendone la luce interiore, e scoprira’ cosi il significato del sesso sacro, ovvero del sesso accompagnato dall’amore, dall’intimità, dalla verità.
Il secondo, Terence, la introdurrà al piacere del dolore, del masochismo e del sadismo, del sesso scisso dai sentimenti. La spingerà fino ai limiti estremi, e come la Bustine di De Sade, attraverso la conoscenza di tali limiti le farà scoprire se stessa

“il dolore è parte di un processo naturale. Lo sa bene chi pratica uno sport: quando si vogliono raggiungere gli obiettivi, bisogna essere pronti ad affrontare una dose quotidiana di dolore o di malessere. All'inizio è fastidioso e demotivante ma, giorno dopo giorno, si comprende che costituisce un elemento del cammino per sentirsi bene, e arriva un momento in cui, senza il dolore, si ha la sensazione che l'esercizio non produca l'effetto desiderato.”

Ma in Maria matura ormai la decisione di tornare a casa, non per dare inizio ad un’impresa agricola, ne per trovare il suo primo amore, ne per sposarsi con il titolare del negozio di tessuti, ma per l’amore di se stessa

” Non mi interessa se in passato fosse sacro o no, ma IO ODIO CIÒ CHE FACCIO. Sta distruggendo la mia anima, mi sta facendo perdere il contatto con me stessa, mi sta insegnando che il dolore è una ricompensa, che il denaro compra e giustifica tutto”.

e per amore delle sue origini:


“Quanto più lontani stanno, tanto più vicini al cuore sono i sentimenti che cerchiamo di soffocare e dimenticare. Se siamo in esilio, vogliamo serbare ogni piccolo ricordo delle nostre radici; se ci troviamo lontani dalla persona amata, chiunque per la strada ce la fa ricordare. I Vangeli, e tutti i testi sacri delle varie religioni, furono scritti in esilio, cercando di comprendere Dio, la fede che faceva avanzare i popoli, la sofferta peregrinazione delle anime erranti sulla faccia della terra. I nostri antenati non sapevano, e tanto meno lo sappiamo noi, ciò che la Divinità si aspetta dalle nostre vite. È in quel momento che i libri vengono scritti, i quadri dipinti, poiché noi non vogliamo e non possiamo dimenticare chi siamo"


Un po’ scontato il finale, ma Coelho si difende dicendo che cosi e’ più vicina alla storia narratagli, l’ispiratrice del libro infatti, Sonia, adesso e’ felice, ha due figlie e vive in Svizzera (da qui l’ambientazione a Ginevra del libro). Malgrado ciò, e malgrado la descrizione un po’ fragile del fenomeno della prostituzione (fatta nella maggior parte da coercizioni violente e non da consapevoli scelte umane) rimane forte il messaggio che attraversa tutto il racconto:

“Amiamoci l'un l'altro, ma non tentiamo di possederci l'un l'altro”

E’solo con la comunicazione tra i sessi e con la volontà di capirci e di venirci incontro che possiamo superare le barriere affettive che a volte bloccano e impediscono la felicità anche di persone apparentemente realizzate. Bisogna fuggire ad ogni standardizzazione del sesso, standard per cui il sesso si debba fare ogni giorno, per cui si debba venire e venire insieme, regole globalizzate che ci fanno perdere la nostra identità spingendoci a mentire per far piacere agli altri.

Il Bignamino:le vie dello spirito passano anche dal sesso

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giovedì

Il buio oltre la siepe, di Harper Lee


In questo romanzo si ritorna bambini, quando “i grandi dubbi della vita” erano condivisi con gli amori e gli amici dell’estate e prendevano origine dall’interpretazione del criptico mondo degli adulti e dai misteri e dalle paure che si annidano dietro ogni angolo buio. Harper Lee con questo racconto dipinge un quadro a tinte delicate, leggero e incisivo allo stesso tempo, immerso nei chiaroscuri del mondo degli adulti: l’Alabama degli anni Trenta. All’epoca della pubblicazione del libro in America, la segregazione razziale nei confronti della popolazione di colore (in special modo negli stati del Sud) rappresentava lo status quo, un fatto considerato assurdamente normale.

Il tema del razzismo e del suo legame con la giustizia viene tratteggiato con tocco lieve, in un’atmosfera che suscita riflessione e tristezza senza evocare facili pietismi. La vicenda, è raccontata dalla piccola Scout, figlia dell’avvocato Atticus incaricato di difendere un ragazzo di colore (Tom Robinson) accusato di stupro. Atticus e’ spaventato ma orgoglioso nello sfidare un modo di pensare ottuso anche quando sa che perderà prima ancora di cominciare; con il suo comportamento e i suoi consigli mostrerà quanto male si annida dietro le ipocrisie della società, eroe di un'umanità che emoziona il cuore.

“Atticus aveva ragione. Una volta aveva detto che non si conosce realmente un uomo se non ci si mette nei suoi panni e non ci si va a spasso”.

Vengono messi in evidenza i diversi comportamenti verso i neri: chi sostiene la segregazione (Bob Ewell), chi vuole superarla (Atticus Finch) e chi presenta comportamenti contraddittori (p. es., la maestra di Scout, che pur odiando la discriminazione di Hitler per gli ebrei, è contraria all'uguaglianza delle persone di colore).

Il titolo inglese originale è ‘To Kill a Mockingbird’, uccidere un tordo, innocuo uccello che non si ciba di granaglie ma di insetti, vermi e larve e che delizia tutti con il suo bel canto. Ucciderlo è quindi un peccato doppiamente grave. Il titolo originale si riferisce dunque alla condanna a morte di Tom Robinson da parte della comunità.

Per Scout il buio oltre la siepe è ciò che è sconosciuto pur essendo vicino, Boo Radley, il vicino di casa dei Finch, che non ha mai visto e che, per questo, non conosce, metafora del diverso, dello straniero. I ragazzi imparano a superare la "paura del diverso" che hanno nei suoi confronti. Avevano accettato il pregiudizio che egli fosse una persona violenta e, quindi, da evitare. Ma quando si accorgono di tutto ciò che egli fa per loro, scoprono di averlo mal giudicato. Il messaggio dell'autrice, quindi, è di imparare a conoscere il prossimo, senza cadere nei facili pregiudizi su cui si fonda il razzismo.

“Adesso che il buio non ci faceva più paura avremmo potuto oltrepassare la siepe che ci separava dalla casa dei Radley e guardare la città e le cose dalla loro veranda. Accadde tutto in una notte, la notte più lunga, più terribile e insieme la più bella di tutta la mia vita“.

Il Bignamino: Ho paura, non lo conosco, sara’ cattivo.

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Autore: Harper Lee
Titolo: Il buio oltre la siepe Editore: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 12,90 euro
Pagine: 128

mercoledì

Skellig, di David Almond


Leggetelo, ed una volta letto fatelo leggere ai vostri figli, ai vostri nipoti, a tutti i ragazzi che vi stanno a cuore. Si tratta di un libro scritto con raro senso della meraviglia, così intimo che la sua dimensione ideale è quella della lettura solitaria e silenziosa, nel rispetto delle storie discrete ed impalpabili che vi sono descritte.
Michael è un ragazzo qualunque, va a scuola, gioca a calcio, ha molti amici. E’ nella nuova casa in cui si è trasferita la propria famiglia che la sua vita diventa straordinaria. Lì Michael si sente più solo che mai, con genitori cari ma assenti perché troppo presi dall'angoscia per una bimba appena nata che si teme non possa sopravvivere ad una malformazione al cuore.
Ed in questo stato di tristezza ed abbandono, paura e afflizione Micheal entra nel pericolante garage della nuova casa e vi trova Skellig, una strana creatura denutrita , scorbutica, malata. Una creatura da, aiutare, forse salvare, Non potendo infatti agire sugli altri aspetti angosciosi della sua esistenza Micheal trasferisce sullo strano personaggio la propria voglia di contribuire a migliorare la situazione, e si oppone con ostinazione al suo evidente volersi lasciare andare.

Pur intriso di speranza e trascendenza il libro non nega la pesantezza della vita, dando una bella descrizione dell’esistenza in cui la virtù e il valore non ci sono dati, ma emergono con fatica.
Uno dei migliori esempi di quello che può essere la letteratura per l'infanzia.

«Anche William Blake sveniva ogni tanto. Diceva che l' anima è in grado di saltare fuori dal corpo per un po' e poi saltarci dentro di nuovo. Diceva che le cause potevano essere forte paura o enorme dolore. A volte poteva essere per troppa gioia. E’ possibile essere sopraffatti dalla presenza di tanta bellezza nel mondo».

Il Bignamino: E' un uomo-gufo, no è un angelo, non lo so ma e' magnifico

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SCHEDA DEL LIBRO
Titolo: Skellig
Autore: David Almond
Editore: Salani
Pagine: 151