Uno sguardo sulle mie letture

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lunedì

Il maestro e Margherita, di Michail Bulgakov


Il maestro e Margherita, di Michail Bulgakov, è incentrato sull'idea di una visita del Diavolo nell'Unione Sovietica atea degli anni trenta. Molti critici considerano quest'opera uno dei più grandi capolavori della letteratura russa del XX secolo, un romanzo-poema di cui  Montale disse: « un miracolo che ognuno deve salutare con commozione».  E’ il romanzo che sembra abbia ispirato Salman Rushdie per la stesura dell'opera “I versi satanici”, ed i Rolling Stones per la scrittura del pezzo “Sympathy for the Devil”.
Con queste premesse le mie aspettative erano alle stelle, e sono state pienamente premiate dalla bellissima scena iniziale col Diavolo a Mosca che si intromette nel colloquio tra due scrittori di regime intenti a progettare una buona opera ateistica imperniata sulla tesi della natura mitica, e non storica, della figura di Gesù da un lato discutendo dell´esistenza di Dio, e dall´altro smentendoli sul punto a cui più tenevano («Tengano presente che Gesù è esistito»), per il semplice fatto che lui, il Diavolo, «aveva assistito personalmente» alla cosa, stando sul balcone di Ponzio Pilato.
Ecco che una simile scena, con il conseguente corollario di argomenti trattati, non te l’aspetti da un romanzo sovietico del 1940, Infatti il testo originale fu mutilato dalla censura con l’accusa di promuovere la Magia Nera e l’esoterismo .
 Il seguito merita di essere letto e gustato, non riassunto in breve, ma lasciate che condivida alcune impressioni.
Gli spunti del testo sono molteplici: la critica alla società sovietica del periodo, e segnatamente all’apparato politico che tenta di inibire la libertà di parola e di creatività, la critica alla storia umana con tanto di interpretazione su quella che probabilmente è la massima disputa concettuale-morale di tutti i tempi, ossia i fatti del Golgota e l'esistenza stessa di Gesù, nonché gli spunti autobiografici, con lo stesso Bulgakov rintracciabile nel Maestro, e sua moglie in Margherita.
I personaggi sono originali e travolgenti. Il Satana di Bulgakov ad esempio è beffardo e istrionico, man of wealth and taste, si presenta in compagnia del demone Azazello e di un enorme gatto nero bipede, un terzetto che mette a soqquadro la città scoperchiando, in un crescendo di situazioni fra il magico e il grottesco, le ipocrisie e i grigiori della società dell’epoca. Un Satana che difende l'esistenza di Dio, conscio del fatto che il male può trionfare soltanto se l'uomo ha la consapevolezza dell'esistenza del bene e volutamente lo rifiuta; un demonio saggio e lungimirante, il quale, ad un certo punto, pronuncia una frase che suona come un riferimento alla dittatura stalinista e come monito nei confronti del potere che vorrebbe imbrigliare gli intellettuali attraverso lo strumento della censura: "I manoscritti non bruciano".  I suoi sortilegi tendono più allo scherno che allo scherzo e le situazioni che nascono dal suo incontro con gli uomini si risolvono (il maestro e Margherita esclusi) quasi sempre in lutti, umiliazioni e smascheramenti di tipo clamoroso, talvolta grossolano ma non realmente comico. Un diavolo cosi può stupire ma ho scoperto che il diavolo è chiamato in Russia sut, significando anche buffone, giullare.
Il paesaggio in cui si svolge la vicenda è una Russia in cui alcuni maiali, per dirla con Orwell, sono più uguali di altri. Tra questi gli intellettuali fedelissimi alla linea del partito comunista, che festeggiano la loro oziosa vita in club d’elite, dove si mangia e si beve bene, e che per professione distruggono sistematicamente qualunque autore si ritrovi a deviare dalla linea del partito. I cenni autobiografici sembrano evidenti se si considera che su di una recensione su Bulgakov uscita su un giornale moscovita il critico letterario di regime scriveva, con la delicatezza tipica dei fanatici, che avrebbe voluto prendere la faccia dell’autore e sbatterla contro il cesso di casa. C’è il controllo del regime su ciò che il pubblico può vedere, con gli uffici che gestiscono la programmazione teatrale della città che molto ricordano, per cialtroneria, servilismo e nomina politica, chi oggi decide il palinsesto Rai.
Un racconto pervaso di un umorismo favoloso, oscillante tra senso del grottesco e satira sociale; stupisce per la grande fantasia narrativa e quell’alone di mistero e di tenebra che la avvolge, ma rimane un romanzo complesso, ed è  ostico seguire i nomi dei personaggi dato che gli scrittori russi associano spesso nomignoli alle volte più complessi dei nomi propri.
 
"Veniva da me quotidianamente, di giorno, e ad aspettarla io cominciavo sin dal mattino. Questa attesa si manifestava col fatto che spostavo gli oggetti sul tavolo. Dieci minuti prima mi sedevo vicino alla finestra e mi mettevo in ascolto, aspettando che il vecchio cancello sbattesse. E' strano: prima che l'incontrassi, poca gente veniva nel nostro cortiletto, anzi, non veniva mai nessuno, mentre adesso mi sembrava che tutta la città vi si precipitasse. Sbatteva il cancello, sbatteva il mio cuore, e si figuri, dietro il finestrino, al livello del mio viso, appariva immancabilmente un paio di stivali sporchi. L'arrotino. Ma chi aveva bisogno di un arrotino nella nostra casa? Arrotare che cosa? Quali coltelli?
Lei entrava una sola volta dal cancello, ma io avevo provato il batticuore almeno dieci volte, non dico una bugia".

“L’amore ci aveva sorpreso inatteso e violento come un assassino
che sbuchi fuori d’improvviso, e ci aveva pugnalato entrambi.
Così colpisce il fulmine, così colpisce la lama finnica.
Del resto, lei sosteneva in seguito che non avvenne così,
che noi ci amavamo sicuramente
da sempre, senza saperlo, senza esserci mai visti”