Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

mercoledì

Espiazione, di Ian McEwan

Tre protagonisti: Briony Tallis, istrionica tredicenne dalla iperattiva immaginazione, sua sorella Cecilia e l'amico di famiglia Robbie, una coppia quest'ultima unita e subito drammaticamente separata per fato, coincidenza, sfortuna, equivoco, gelosia. Un dramma adolescenziale, l’orrore della Guerra, il ritorno dei reduci: tre episodi, con la stessa dignità di tre distinti libri, legati fra loro magnificamente, storie dentro altre storie. Croci e delizie, pericoli ed ammaliamenti della scrittura attraverso la percezione della recettiva mente di un’adolescente; una commovente descrizione della ritirata inglese nella seconda guerra mondiale e la successiva ospedalizzazione, con un realismo profondo a tal punto da mettere a disagio durante la lettura; l’espiazione di Briony, che dapprima si espleta in una catarsi lavorativa e successivamente attraverso la scrittura di una confessione, lunga e pesante quanto un’intera vita. Un’escursione finemente psicologica nei meandri della colpa e nelle vette del perdono. Tra questi due estremi una scena erotica da batticuore ed un ironico epilogo da vero coup de theatre in cui McEwan trasforma Briony in una scrittrice dandogli il suo stesso potere creativo. Eccellente pittura in prosa dei dilemmi morali e delle cervellotiche congetture della mente, in piena sintonia con l’animo umano. Non avevo ancora scritto di un libro “capolavoro”, non posso fare diversamente oggi.

10/10: (lasciate anche voi il vostro voto)

venerdì

Survivor, di Chuck Palahniuk

E’ da quando ho visto fight club che mi propongo di leggere un libro di Palahniuk, finalmente ci sono riuscito e le mie aspettative non sono state deluse.

Demoni o angeli o spiriti del male, ho solo bisogno che qualcosa si mostri. Vampiri o fantasmi o bestie dalle gambe lunghe, voglio solo che mi si prenda per mano
parte da questa necessità la meteora del messia mediatico 33enne Tender Branson, che solitario in un Boeing 747 con autopilota viaggia a 39,000 piedi e lascia alla scatola nera la sua confessione; parte a ritroso dal capitolo 47 fino al ground zero dell’ultima pagina, alla ricerca di qualcosa che abbia compromesso il proprio destino, nella difficoltosa conquista di un’autonomia d’agire.
In bilico tra l’orrore del presente e la paura dell’incognito, eccovi servita una satira nera sulla cultura della celebrità istantanea del mondo moderno, contorta e comicamente maniacale, uno scorcio allarmante sull’america delle aspettative oltraggiose, dell’idolatria servile, del consumismo fanatico e della banalità che inebetisce.
Se per qualcuno l’apocalisse si sta avvicinando lentamente, per Palahniuk è già arrivata e vive nei pensieri neanche troppo velati di una moltitudine di persone che ci circondano. Un fantasy, che sempre più spesso diventa cronaca nera nei notiziari televisivi.

martedì

La lingua perduta delle gru, di David Leavitt

Quando ci si avventura nella lettura di un libro, lo si fa con animo da esploratore, come in un viaggio esotico in terre sconosciute, armati solo della propria immaginazione e, nel mio caso, di una matita, che, allo stesso modo di una macchina fotografica, mi serve per immortalare quel fil rouge che attraversa il racconto, come un fiume che attraversa ed alimenta un paesaggio. Ciò che di straordinario contraddistingue la lettura è che le frasi, i racconti, la stessa storia colpiscono ogni lettore in modo differente. Ma nel libro di David Leavitt “la lingua perduta delle gru” il cuore pulsante dell’intero romanzo è riconducibile in maniera univoca ad una storia descritta a metà libro, completamente avulsa dal resto del racconto ma capace da sola di darci la chiave di lettura dell'intera narrazione, la storia del bambino-gru:


Michel, nato da un’adolescente sbandata, probabilmente ritardata, frutto di uno
stupro. Fino all’età di quasi due anni aveva vissuto con sua madre in un
casamento popolare vicino ad un cantiere edilizio. Ogni giorno la madre vagava
dentro, intorno e fuori dall’appartamento, persa nella sua follia. Si accorgeva
appena della presenza del bambino, non sapeva nemmeno come nutrirlo e come
occuparsi di lui. I vicini erano allarmati per le grida di Michel…Poi un bel
giorno, quasi improvvisamente, i pianti si interruppero. Il bambino non gridava
più, e non gridò neanche la notte seguente. Per giorni non si sentì neanche un
rumore. Vennero chiamati la polizia e gli assistenti sociali. Trovarono il
bambino sdraiato sul suo lettino accanto alla finestra. Era vivo e
straordinariamente in buona salute, considerando quanto era stato trascurato. In
silenzio, giocava nel suo squallido lettino, fermandosi ogni qualche secondo per
guardare fuori della finestra. Il suo gioco era diverso da qualsiasi altro gioco
che avessero mai visto. Guardando fuori dalla finestra, sollevava le braccia,
poi le bloccava bruscamente, si rizzava in piedi sulle gambe scarne, poi cadeva;
si piegava e si alzava. Faceva strani rumori, una specie di scricchiolio con la
gola. Cosa stava facendo? Si chiesero gli assistenti sociali….Poi guardarono
fuori della finestra, dove erano in funzioni alcune gru, che sollevavano travi
maestre e travetti, o allungavano palle di demolizione sul loro unico braccio.
Il bambino stava osservando la gru più vicina alla finestra. Quando questa si
sollevava, lui si sollevava; quando si piegava, lui si piegava; quando le sue
marce stridevano e il motore ronzava, il bambino produceva uno stridio con i
denti, un ronzio con la lingua.
Leavitt ne sintetizza lui stesso poco più avanti nel racconto la morale:

ciascuno, a modo suo, trova ciò che deve amare, e lo ama; la finestra diventa
uno specchio; qualunque sia la cosa che amiamo, è quello che noi siamo.

E’ su questa capacità di comprendere noi stessi tramite ciò che amiamo che si misurano le scelte (e i destini) di una famiglia; la madre che svela la sua pena dignitosa quanto profonda di fronte alla scoperta dell’omosessualità del marito e del figlio e che cercherà invano di difendere la sua “normalità”, il suo “ordine delle cose” solidificato sulla meticolosa professionalità a lavoro e la passione per le parole incrociate, dove tutto ha una sua collocazione predefinita, senza ambiguità. Padre e figlio invece riusciranno a comprendere se stessi, raggiungendo faticosamente un equilibrio sentimentale che li renderà personaggi positivi e vincenti di questo bellissimo romanzo.

mercoledì

Il diavolo e la signora Prym, di Paulo Cohelo


Oggi vi riporto una leggenda citata nel libro "il diavolo e la signora Prym" di Cohelo. La leggenda riguarda il celebre dipinto dell'Ultima cena di Leonardo da Vinci


Quando Leonardo concepì questo dipinto, Leonardo da Vinci si trovò alle prese
con una grande difficoltà: aveva bisogno di dipingere il Bene, nell'immagine di
Gesù, e il Male, nella figura di Giuda, il discepolo che scelse di tradirlo
durante la cena. Dovette interrompere il lavoro a metà, fino a quando non fosse
riuscito a trovare i modelli ideali. "Un giorno, mentre ascoltava un coro, in
uno dei ragazzi vide l'immagine perfetta di Cristo. Lo invitò nel suo studio e
ne riprodusse i lineamenti in vari studi e bozzetti. "Passarono tre anni. Il
dipinto era quasi terminato, ma Leonardo non aveva ancora trovato il modello per
Giuda. Il cardinale- il responsabile della chiesa- lo sollecitò, pretendendo che
terminasse entro breve la sua opera. "Dopo alcuni giorni di ricerche, il pittore
incontrò un giovane prematuramente invecchiato, lacero, ubriaco, che giaceva
riverso in un fosso. Con difficoltà, chiese ai suoi assistenti di condurlo in
chiesa, giacché non aveva più tempo di fare alcun bozzetto. "Il mendicante fu
trasportato fino alla chiesa. Non capiva cosa gli stesse succedendo: gli
assistenti lo tenevano in piedi, mentre Leonardo copiava i lineamenti
dell'empietà, del peccato, dell'egoismo, che apparivano ben marcati su quel
viso. "Quando il lavoro fu ultimato, il mendicante - ormai ripresosi dalla
sbronza- aprì gli occhi e notò il dipinto davanti a sé. E, con un misto di
sgomento e tristezza, disse: "'Ho già visto questo dipinto! "'Quando?" domandò
Leonardo, sorpreso. "'Tre anni fa, prima che perdessi tutto ciò che possedevo.
In quel periodo, cantavo in un coro, e la mia vita era piena di sogni... Un
artista mi invitò a posare come modello per il viso di Gesù.


Il Bene e il Male hanno la stessa faccia. Tutto dipende dal
momento in cui attraversano il cammino di ogni essere umano

domenica

Che tu sia per me il coltello, di David Grossman

  Può una persona aprirsi onestamente e senza riserve ad un’altra a lei completamente sconosciuta? Può l’incontro con l’universo ed il linguaggio di uno sconosciuto essere altrettanto sensuale ed eccitante del primo incontro con il corpo dell’altro? In

una realtà che è, in fin dei conti, solo una coincidenza momentanea su un globo
enorme, brulicante di possibilità che non si realizzeranno mai. Ognuna di loro
potrebbe raccontarci una storia completamente diversa di noi, interpretarci in
modo differente

in questa realtà ci si può innamorare di una donna solo dal suo incrociare le braccia? Forse il libro che ho appena letto di David Grossman “che tu sia per me il coltello” potrebbe rispondere a queste domande attraverso la corrispondenza epistolare tra uno sconosciuto che cerca di accedere all'universo intimo e complesso di una donna. La storia fra due persone proiettate l’una verso l’altra e che lasciano alle spalle i rispettivi matrimoni ridotti ormai a


due persone che si amano pigiate nel barattolo del matrimonio, dove ogni mio
respiro le sottrae qualcosa. Inconsapevolmente, si tiene una contabilità
meschina con la persona che si ama di più. Alla fine tutto diventa calcolo,
bilancio….non solo ci si rinfaccia chi guadagna e chi lavora di più, in casa o
fuori, e chi prende più spesso l’iniziativa a letto. Anche i cromosomi finiti
nella cassa comune vengono in qualche modo conteggiati: a chi il bambino
somiglia di più, e chi invecchia prima mentre l’altro perde il passo.

La scrittura e la storia ne risultano dense, intricate, esigenti, piene di momenti di grande poesia e inventiva, folli, tristemente pungenti, quasi scottanti, asfissianti . Brutta o bella, difficile e coinvolgente, scomoda ma da leggere, una storia che non si sa se odiare o amare, che ci pone di fronte ad una situazione stile Rashomon, dove ogni lettore percepirà la storia differentemente. Ma al di là della valutazione del libro, questa storia mostra quanto sia un'esperienza unica e ricca il poter conoscere una persona, ogni singola persona, senza fretta, gustando le sfumature dell’anima, indispensabili nella comprensione dei desideri, dei drammi infantili, delle gioie ed umiliazioni. Dovremmo abiurare i rapporti “mordi e fuggi” per riscoprire il piacere di una lenta corrispondenza d’amorosi sensi; ogni condivisione, ogni scambio, ogni donarsi, ogni lettera può serbare in se la magia di un primo incontro, rivelare come scoprirsi in un modo nuovo, perché solo così


verrà svelata, a poco a poco, l’essenza particolare che può crearsi tra te e me,
ma mai tra altre due persone

ogni parola scambiata


cadere esattamente dove era attesa da anni

Questo libro dimostra altresì come per poter emozionare non serva raccontare chissà quali avventure della propria vita, essere simpatici e brillanti, ma basti esprimere le proprie paure, debolezze, speranze con una sincerità


semplice ed essenziale, sintetica ed inconfutabile come una formula
matematica, o un’aria di Mozart. Un assioma che parli di me e di te e delle cose
che la nostalgia rende fragili, vibranti e dolorose.

mercoledì

Chesil beach, di Ian McEwan


Volete analizzare i meandri piú tortuosi delle paure e delle angosce che possono scaturire dall’unione di una coppia di innamorati? La paura, l'ansia, la non conoscenza, la non confidenza con il corpo proprio e altrui, il silenzio sociale ed il pudore personale. Questi sentimenti sono narrati con precisione chirurgica in un libro che ho appena letto, chesil beach di Ian McEwan. Mi sono innamorato della capacità di McEwan di tuffarsi con tanto agio in un susseguirsi di rievocazioni e di ricostruzioni nell'esperienza intimissima di una cultura sentimentale e sessuale. Un avvenimento di poche ore sviluppato nel contesto spazio-temporale con tutti i particolari psicologici e sentimentali dei protagonisti. Un’analisi profonda dell'animo umano di grande valore storico e comportamentale umano. Una sorta di ralenti cinematografico portato fino all'estremo, un’avvincente, minuziosa ed ipnotica registrazione degli eventi.
Difficile trarre una morale da questa storia, leggendolo si percepisce la malinconia dello scrittore nel vedere due vite predestinate ad un futuro comune naufragare in seguito a condizionamenti esterni, decisioni affrettate e impeti sentimentali non mitigati dalla ragione, accompagnati in questa deriva dai tanti “e se io avessi…” che nascono ai bivi di ogni vita. I neo sposi del libro, cosi come gli adolescenti di oggi, si avvicinano ai primi rapporti sessuali con una falsa spavalderia, frutto del cameratismo maschile e femminile che ne svilisce ogni romanticismo, ne esorcizza ogni magia, assimilando la prima unione alla stregua di eventi quali il primo orecchino o la prima gita scolastica. Ed allora diventa fonte di orgoglio quando questo antico rituale avviene il prima possibile, in un insignificante gran premio dell’imbecillità. Questo libro, ponendo come centro gravitazionale la prima unione e lasciando che intorno ad esso gravitino sentimenti e destini, ne restituisce in parte la dignità di un tempo

venerdì

Veronika decide di morire, di Paulo Coelho


Vorrei riportare una riflessione sulla “pazzia” e sulla “normalità” fatta da uno scrittore che prediligo: Paulo Coelho.
Coelho è stato ricoverato per sospetti disordini mentali in un…."ospizio", per usare il nome con cui era più conosciuto a quel tempo quel tipo di ospedale. Era successo per ben tre volte: nel 1965, nel 1966 e nel 1967. Egli stesso non riusciva a comprendere il motivo del suo ricovero: forse i genitori avevano equivocato sul suo comportamento diverso, fra il timido e l'estroverso; o forse era stato per quel suo desiderio di essere un "artista", qualcosa che in famiglia tutti consideravano come il modo migliore per vivere nell'emarginazione e morire in miseria. Di certo quest’esperienza ha aiutato Coelho a maturare della pazzia una sua visione poetica e spiazzante, splendidamente sintetizzata nel dialogo lepido e lucidissimo fra un dottore e la sua paziente:

Che cos'è la realtà?”
"Ciò che la maggioranza ha ritenuto che dovrebbe
essere. Non necessariamente la situazione migliore, né la più logica, ma quella
che si è adattata al desiderio collettivo. Vedi che cos'ho intorno al collo?"
"Una cravatta."
"Giusto. La tua risposta è logica, coerente per una
persona assolutamente normale: una cravatta! Un matto, però, direbbe che porto
intorno al collo un pezzo di stoffa colorata, ridicolo, inutile, annodato in
maniera complicata, che rende difficili i movimenti della testa e richiede uno
sforzo maggiore per far entrare l'aria nei polmoni. Se dovessi distrarmi mentre
mi trovo vicino a un ventilatore, potrei morire strangolato da questo pezzo di
stoffa.
"Se un matto mi domandasse a che cosa serve una cravatta, dovrei
rispondere: "Assolutamente a niente." Non può dirsi utile neanche per
abbellirsi, perché oggigiorno è divenuta addirittura il simbolo della schiavitù,
del potere, del distacco. La sua unica utilità si manifesta al ritorno a casa,
quando una persona può togliersela, provando la sensazione di essersi liberata
da qualcosa che non sa neanche che cosa sia. "Ma quella sensazione di sollievo
giustifica l'esistenza della cravatta? No. Eppure, se domandassi a un matto e a
una persona normale che cos'è il nastro che porto intorno al collo, sarebbe
considerato sano colui che mi rispondesse: "Una cravatta." Non importa chi è nel
giusto: importa chi ha ragione."

martedì

da repubblica.it "stupri ed aggressioni incendiarie, che orrore questi adolescenti" ma chi sono i responsabili?

A seguito degli orrori eseguiti da adolescenti provenienti da famiglie benestanti e non, è lecito e necessario porsi domande su chi siano questi adolescenti, quali siano le ragioni dei loro gesti e più di tutto se vi siano dei corresponsabili in questi orrori.
Riporto di seguito diversi stralci liberamente tratti ed adattati dagli scritti corsari di Pasolini e indirizzati agli allora adolescenti neofascisti, l'attualità dei sui testi è illuminante in questa analisi:

"I RESPONSABILI DI QUESTI AVVENIMENTI SIAMO ANCHE NOI
Non abbiamo fatto nulla perché questi adolescenti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l’indignazione, più tranquilla era la coscienza. Ci siamo comportati razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che…non erano gesti immotivati ed irrazionali. Sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti…che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura per semplice disperazione. Ma non potevamo distinguerli dagli altri. E’ questa la nostra spaventosa giustificazione. Erano giovani…il loro problema era vestirsi alla moda tutti allo stesso modo, avere Porsche o Ferrari, oppure motociclette da guidare come piccoli idioti arcangeli con dietro le ragazze tenute accanto esornativamente: erano insomma giovani come tutti gli altri, niente li distingueva in alcun modo."

Non lasciamo soli i nostri figli, parliamogli, in continuazione, non lasciamo che la tv li educhi per noi, che li istruisca al consumismo edonistico e distrugga nella loro coscienza il valore della vita propria ed altrui. Non c'è nessun predestinato alla violenza, esistono solo giovani che si gettano in orrende avventure per semplice disperazione e/o noia. A volte basterebbe una sola piccola esperienza diversa, un solo semplice incontro, perchè il loro destino sia diverso. Dobbiamo provarci, lo dobbiamo fare per noi e per loro.