
Un
territorio di poco più di 3500 km quadrati tra la Moldavia e l’Ucraina,
autoproclamatosi come Repubblica Indipendente di Pridniestrovie (o Transnistria)
nel 1990. Per la sua importanza strategica fu teatro nel 1992 di una sanguinosa
guerra terminata con un cessate il fuoco garantito da una commissione congiunta
tripartita tra Russia, Moldavia e Transnistria. Questa e’ la patria di Lilin,
nato nell’ex Unione Sovietica da una famiglia siberiana deportata ai tempi di
Stalin per le sue attività criminose.
Ma i delinquenti della Transnistria sono soggetti a codici d’onore così rigidi, da sostituire egregiamente le leggi. Tali codici sono interiorizzati come una religione laica, in cui si incastrano miti, riti ancestrali siberiani e la religione ortodossa. L'educazione siberiana che ne deriva è un'educazione antica, disciplinata, quasi sciamanica. La comunità dei criminali Urca, con il loro proprio linguaggio, con la loro arte dei tatuaggi, con le loro gerarchie familiari, con i riti delle armi, con il codice di condotta cavalleresca, e’ un’immagine perfetta di una società tradizionale e guerriera, vivente a diretto contatto con la natura e con il divino. Colpisce di questo libro il “rigore religioso” di queste persone, che è ciò che accomunava questa realtà a molte altre organizzazioni criminali; leggo questo libro e non posso esimermi dal pensare a chi oggi nella mia Sicilia commenta I tempi passati dicendo: "eh, non è più la mafia di una volta, che rispettava le regole, non uccideva bambini, non trattava e vendeva droga”, regole discutibili e comunque ora sistematicamente disattese.
Ma i delinquenti della Transnistria sono soggetti a codici d’onore così rigidi, da sostituire egregiamente le leggi. Tali codici sono interiorizzati come una religione laica, in cui si incastrano miti, riti ancestrali siberiani e la religione ortodossa. L'educazione siberiana che ne deriva è un'educazione antica, disciplinata, quasi sciamanica. La comunità dei criminali Urca, con il loro proprio linguaggio, con la loro arte dei tatuaggi, con le loro gerarchie familiari, con i riti delle armi, con il codice di condotta cavalleresca, e’ un’immagine perfetta di una società tradizionale e guerriera, vivente a diretto contatto con la natura e con il divino. Colpisce di questo libro il “rigore religioso” di queste persone, che è ciò che accomunava questa realtà a molte altre organizzazioni criminali; leggo questo libro e non posso esimermi dal pensare a chi oggi nella mia Sicilia commenta I tempi passati dicendo: "eh, non è più la mafia di una volta, che rispettava le regole, non uccideva bambini, non trattava e vendeva droga”, regole discutibili e comunque ora sistematicamente disattese.
La vita di
Lilin è un continuo ossimoro dove si può uccidere per un insulto o un graffito
e allo stesso tempo si difendono e si proteggono i disabili a costo della vita
tanto da rendere la Transnistria una specie di oasi nei tempi in cui per legge
in Russia era vietato tenerli nelle proprie abitazioni. Scopriamo il significato
della "picca", il disprezzo per il denaro, che non si può parlare con
i poliziotti, l’affascinante cerimonia del kefir bevuto in assoluto silenzio
passandosi la tazza bollente di mano in mano, scopriamo che le parole una volta
uscite non tornano indietro e per questo nessuno dei dialoghi con persone
esterne al quartiere è spontaneo ma una sorta di recita dove anche se l’esito
finale sarà l’inizio di una rissa si deve comunque augurare ogni bene al
proprio nemico.
«Dopo tanti pensieri e discussioni conme stesso
sono arrivato alla conclusione che non si risolve niente con il coltello e le
botte, Così sono passato alla pistol». Basta questo per far capire come
situazioni di una grande drammaticità e violenza non possono nascondere un
sorriso, sicuramente molto amaro, di chi, ancora bambino, vive la criminalità
come una forma normale di socializzazione.Kolima (così viene chiamato Lilin nel suo ambiente) viene anche arrestato varie volte e viene rinchiuso in un carcere minorile. E’ stata questa la parte più difficile da leggere, perchè immaginare che ragazzini di quell’età possano fare e subire determinate cose senza che chi dovrebbe sorvegliarli faccia nulla è inaccettabile per chiunque abbia una coscienza. Una descrizione cruda della marginalità che inevitabilmente ci attrae; un percorso attraverso una storia dove l’esperienza si imprime sulla pelle con le cicatrici, e nell’anima, attraverso le gioie della semplicità e i dolori delle atrocità osservate dall’interno. Differentemente da quello che accade nelle “celebrazioni” di alcune bande criminali qui possiamo azzardare una riflessione su contenuti che inevitabilmente smuovono qualcosa dentro, che sia orrore, pena o compassione. Un libro che comunque riesce a raggiungere l’intento dello scrittore: "Volevo raccontare storie che rischiavano di perdersi, che conoscono in pochi, e renderle storie di molti. Le storie della mia gente, distrutta dal capitalismo”. E l’autore riesce a farlo senza inventare nulla come nei romanzi noir, ne denunciando nulla con inchieste sullo stile Gomorra, ma piuttosto disegnando un tatuaggio, visto che il nostro scrittore fa di mestiere il tatuatore. Il linguaggio elementare, piano, semplice, sembra sia la conseguenza del fatto che Lilin, di madrelingua russa, scriva direttamente in italiano. Un libro che ha comunque qualche demerito, la “promessa” del prologo mai mantenuta ad esempio; ci si aspetterebbe infatti l’arrivo alle vicende cecene, ma evidentemente le pagine del libro non bastavano. A cio va aggiunto un “respiro" del libro che assomiglia ad un singhiozzo, i capitoli si espandono e contraggono, il racconto procede per parentesi e ramificazioni delle storie personali ed il libro finisce per appassionare e stancare. Le punte di poesia, passione e violenza raggiunte (il macchinista Boris, o la figura sacerdotale del tatuatore, o la crudita del carcere) sono intervallate da noiose digressioni (la storia degli “otto triangoli” ad esempio).
Un libro da consigliare perche’ comunque unico, come tutti i libri che raccontano di mondi scomparsi, per apprendere come la vita a volte viene goduta, a volte subita, ma c’e’anche chi la combatte, giorno per giorno, difendendo una dignità che una volta persa non torna più.
« Quella
fiaba parlava di un branco di lupi che erano messi un po' male perché non
mangiavano da parecchio tempo, insomma attraversavano un brutto periodo. Il
vecchio lupo capo branco però tranquillizzava tutti, chiedeva ai suoi compagni
di avere pazienza e aspettare, tanto prima o poi sarebbero passati branchi di
cinghiali o di cervi, e loro avrebbero fatto una caccia ricca e si sarebbero
finalmente riempiti la pancia. Un lupo giovane, però, che non aveva nessuna
voglia di aspettare, si mise a cercare una soluzione rapida al problema. Decise
di uscire dal bosco e di andare a chiedere il cibo agli uomini. Il vecchio lupo
provò a fermarlo, disse che se lui fosse andato a prendere il cibo dagli uomini
sarebbe cambiato e non sarebbe più stato un lupo. Il giovane lupo non lo prese
sul serio, rispose con cattiveria che per riempire lo stomaco non serviva a
niente seguire regole precise, l'importante era riempirlo. Detto questo, se ne
andò verso il villaggio.Gli uomini lo nutrirono coi loro avanzi, e ogni volta
che il giovane lupo si riempiva lo stomaco pensava di tornare nel bosco per
unirsi agli altri, però poi lo prendeva il sonno e lui rimandava ogni volta il
ritorno, finché non dimenticò completamente la vita di branco, il piacere della
caccia, l'emozione di dividere la preda con i compagni.Cominciò ad andare a caccia
con gli uomini, ad aiutare loro anziché i lupi con cui era nato e cresciuto. Un
giorno, durante la caccia, un uomo sparò a un vecchio lupo che cadde a terra
ferito. Il giovane lupo corse verso di lui per portarlo al suo padrone, e
mentre cercava di prenderlo con i denti si accorse che era il vecchio capo
branco. Si vergognò, non sapeva cosa dirgli. Fu il vecchio lupo a riempire quel
silenzio con le sue ultime parole:"Ho vissuto la mia vita come un lupo
degno, ho cacciato molto e ho diviso con i miei fratelli tante prede, così
adesso sto morendo felice. Invece tu vivrai la tua vita nella vergogna, da
solo, in un mondo a cui non appartieni, perché hai rifiutato la dignità di lupo
libero per avere la pancia piena. Sei diventato indegno. Ovunque andrai, tutti ti
tratteranno con disprezzo, non appartieni né al mondo dei lupi né a quello
degli uomini . . . Così capirai che la fame viene e passa, ma la
dignità una volta persa non torna più»
« Nella comunità degli Urca siberiani viene
data la massima importanza al rapporto tra bambini e vecchi. Per questo
esistono molte usanze e tradizioni che consentono ai criminali anziani con
grande esperienza di partecipare all'educazione dei bambini, anche se non hanno
con loro un rapporto di sangue. Ogni criminale adulto chiede a un anziano, di
solito uno che non ha famiglia e abita da solo, di aiutarlo nell'educazione dei
figli. Manda spesso i bambini da lui, a portargli del cibo o a dargli una mano
in casa; in cambio il vecchio racconta le storie della sua vita e insegna ai
bambini la tradizione criminale, i principi e le regole del comportamento, i
codici dei tatuaggi e tutto quello che in qualche modo è legato all'attività
criminale. Questo tipo di rapporto in lingua siberiana viene chiamato
"intagliare", per la somiglianza che c'è tra l'educazione di un
giovane e la lavorazione di un ceppo di legno, che da grezzo va intagliato per
diventare un'opera d'arte o qualcosa di utile»
« Guarda
come siamo messi, figliolo . . . Gli uomini nascono felici, però si
autoconvincono che la felicità è qualcosa che devono trovare nella vita . . . E
cosa siamo? Un branco di animali senza istinto, che seguono idee sbagliate,
cercando quello che già hanno . . .Una volta, mentre eravamo a pesca, parlavamo
proprio di felicità. A un certo punto, lui mi ha chiesto:-- Guarda gli animali,
secondo te loro ne sanno qualcosa della felicità?-- Beh, penso che anche gli
animali ogni tanto si sentono tristi o felici, solo che non riescono a
esprimere i loro sentimenti . . . -- ho risposto io. Lui mi ha guardato in
silenzio e poi ha detto: -- E lo sai perché Dio ha dato all'uomo una vita più
lunga di quella degli animali? -- No, non ci ho mai pensato . . .-- Perché gli
animali vivono seguendo il loro istinto e non fanno sbagli. L'uomo vive
seguendo la ragione, quindi ha bisogno di una parte della vita per fare sbagli,
un'altra per poterlo capire, e una terza per cercare di vivere senza sbagliare»
«Ma come faccio a sapere che ore sono, se sono
una persona felice? Lo sapete che le persone felici non contano il tempo,
perché nella loro vita ogni momento scorre con piacere?»
«C’è chi
la vita la gode, chi la subisce, noi la combattiamo»