Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

lunedì

Carne e sangue, di Michael Cunningham


C’è una citazione di Geltrude Stein, posta in epigrafe a questo romanzo, che recita: «Una volta un uomo infuriato trascinò il proprio padre sul terreno del suo frutteto. “Fermati!” gridò infine il vecchio gemente. “Fermati! Io non ho trascinato mio padre oltre questo albero”».
Più volte nel corso della lettura di questo libro sono tornato su questa citazione, sapendo che in essa è sepolta una chiave di lettura preziosa, data dal suo stesso autore. All’inizio completamente enigmatica, con lo svolgersi delle pagine, con la caratterizzazione dei personaggi, col susseguirsi delle generazioni, questa citazione è stata capace di dirmi molto.
E’ una citazione, ed un libro, che parla di conflitto tra generazioni, tra padri e figli, un conflitto connesso al trascorrere del tempo e delle stagioni e caratterizzato da una sorta di ciclicità: ogni figlio trascina il proprio padre nel frutteto, si scontra con lui e in tal modo si afferma. Il conflitto con la figura paterna si rivela sempre necessario e in qualche modo fortificante, ma vi sono anche personaggi che non riescono ad affrontarlo: essi rimangono schiacciati sotto il peso delle aspettative e, poiché non riescono ad uniformarsi alle attese si sentono fuori sintonia, errati, disposti anche al suicidio pur di non uscire allo scoperto nel campo aperto del frutteto. Nella citazione della Stein  c’è anche dell’altro: il «vecchio gemente» chiede al figlio di fermarsi, di non andar oltre un certo limite «“Io non ho trascinato mio padre oltre questo albero”». Un’affermazione che contiene una implicita confessione: il padre svela di aver a sua volta compiuto il gesto di infierire sul proprio genitore; il padre confessa di essere stato figlio. Questa confessione in qualche modo legittima e ridimensiona il gesto violento dell’«uomo infuriato»; è infatti come se il vecchio dicesse: “Quello che stai facendo non è grave come forse tu temi: anch’io l’ho fatto quando ero come te. E tuttavia non è neppure eclatante come tu speri: ogni figlio ha dovuto, per diventare a sua volta padre, compiere questo stesso gesto”. C’è anche un monito: “Se ogni figlio compie questo gesto su suo padre, anche tu, una volta divenuto a tua volta padre, lo subirai da tuo figlio”. E però non è tutto qui. La frase del vecchio gemente contiene anche una difesa: «“Io non ho trascinato mio padre oltre questo albero”». E’ come se il vecchio reclamasse l’esistenza di un limite fino al quale è legittimo trascinare il proprio padre, quasi fosse inevitabile, ma che colpevole e illegittimo sarebbe trascinarlo oltre. Una difesa che sembra alludere alla forza di rottura portata nei rapporti personali dalle generazioni future: se ogni figlio ha necessariamente trascinato il padre fino a un certo punto, ora sono giunti sulla scena del tempo nuovi figli che non possono fermarsi perché con loro è giunta un’epoca che trascina il passato in un territorio radicalmente nuovo. È la sfida dei figli di Constantine e di Mary, i figli che hanno l’età di Susan, di Billy e di Zoe, nati negli anni Cinquanta e segnati dal salto culturale dei Sessanta: trascinare i propri padri ben oltre il punto fino al quale questi avevano trascinato i loro. È anche la condanna di quei figli, che trascinando i padri devono trascinare anche se stessi. Se Constantine trasforma la lotta per la sopravvivenza del proprio padre nella Grecia arretrata dell’anteguerra in una fortunata affermazione sociale negli USA dove è emigrato dopo la guerra, i figli di lui devono vedersela con un territorio non meno inaudito, un nuovo mondo dell’etica e delle relazioni interpersonali che insegue la propria identità nella droga, nelle follie automobilistiche del sabato sera, nell’amicizia con nuove figure sociali (come il travestito Cassandra). Se Constantine bambino contro il padre aveva coltivato un minuscolo orto tutto suo, in realtà intenzionato a replicare quello paterno, Zoe fugge sugli alberi, Billy sfida la morte correndo in auto, e Susan, incapace di gesti radicali di ribellione e di autoaffermazione, vive in bilico fra complicità e disgusto, fra patteggiamento e odio. Nessuno vuole emulare e superare il padre. La questione è ometterlo, lui e i suoi valori. Chi, come Billy, per scoprire la propria omosessualità, chi, come Zoe, per inseguire un ideale di purezza vitale privo di compromessi con la realtà. E Susan, che non riesce a prendere clamorosamente le distanze, deve infine trovare la strada della vendetta, e baciare in bocca, fissandolo negli occhi perché sappia che non lo ha perdonato. Ognuno dei gesti compiuti da questi figli è impensabile solo una generazione prima della loro: per questo essi trascinano il padre oltre il segno da questi raggiunto al suo turno.

Cunningham è capace di vedere il mondo così com’è, un mondo di contraddizioni e di rapporti di forza e ci regala il ruolo di osservatori privilegiati di un mondo intero, descrivendo il carattere di ciascun personaggio con la registrazione dell’io attraverso l’altro: Billy è narrato secondo lo sguardo del padre, e questi attraverso quello del figlio; la vita di Billy al college è intuita per mezzo delle riflessioni della madre Mary di fronte agli spazzolini da denti del figlio e dei suoi coinquilini. In questo modo, ogni frammento del racconto dice due cose, parlando al tempo stesso del suo oggetto ma anche dello sguardo che lo filtra. Una  realtà che sta nella relazione fra le psicologie. Se l’intolleranza del padre di fronte alla gracilità di Billy ci comunica solo l’oscuro ribrezzo di Constantine per l’omosessualità, l’incrocio di punti di vista fra i due introduce il tema di una trasformazione storica alle porte: come Billy resiste alla violenza paterna, sfidandone il pregiudizio, così saprà interpretare il nuovo punto di vista sui temi della sessualità. E cosi il narratore a volte è come un antropologo che registra i riti di una cultura prossima a crollare sotto il peso della propria storia, più spesso partecipa dall'interno alle esperienze di chi prova disperatamente a ridefinire il senso dei rapporti familiari e delle relazioni personali. I personaggi contenuti nel libro, sebbene difficili e a volte odiosi, sono sempre comprensibili perchè perfettamente caratterizzati, capaci di spiccare il volo o morire sotto il proprio potere.

A Jamal è affidato il compito di siglare l’ultima pagina del romanzo, egli sembra raffigurare un’ipotesi di futuro. Sposato e con un figlio, Jamal si è preso cura di Harry e poi di Will, accompagnandone la malattia fino alla morte. E qui entriamo in contatto con un tema profondo del romanzo: il senso del tempo e la ricerca di significati durevoli, capaci di sfuggire alla dispersione. Il fatto che la narrazione si concluda con la dispersione di ceneri potrebbe indurre a credere che la scommessa sia stata perduta. Nelle due pagine di racconto condensato del penultimo capitolo sono scomparsi tutti, e di nessuno sembra restare traccia. Alla domanda di Jamal al figlio «“Ti ricordi di tuo nonno?”», questi risponde un secco «“No”».
Ma Jamal ricorda, perché ha «vissuto con Harry e con Will, tanto, tanto tempo fa», come egli confida al figlio. Ma più ancora Will sopravvive perché quel nipote che non lo ricorda porta il suo nome, non quello che i genitori gli avevano dato, ma l’altro da lui stesso conquistato. E insieme al nome eredita dal nonno un sistema di valori che configura la nuova relazione fra genitori e figli, un’intesa autentica che traspare dalle battute di dialogo fra Jamal e il piccolo Will. Al conflitto narrato nei capitoli precedenti sembra sostituirsi un patto fra le generazioni, capace di includere, accanto all’intesa serena fra padre e figlio, la memoria dei nonni.
«Quando tornerò faremo l’orto. Va bene?”». L’orto, come cento anni prima, nella prima pagina del libro. Anche lì un padre e un figlio di pochi anni, Constantine, facevano un orto. Ma questa volta c’è da credere che i due potranno collaborare, e che il bambino non dovrà nascondersi la terra in bocca per trovare un suo spazio. Questa volta, forse, una volta cresciuto non dovrà trascinare il padre, gemente, sul terreno del suo frutteto: ci stanno già andando insieme.

In chiusura vi regalo alcune delle più belle “pennellate” di letteratura che ho trovato in questo libro, alcune date dalla descrizione dei personaggi:
« Suo padre aveva un occhio spietato, capace di scoprire un‘unica pagliuzza cattiva in dieci balle di buone intenzioni… Sua madre, che si era trasferita da Palermo al New Jersey [negli anni trenta] perché i suoi figli nascessero cittadini degli Stati Uniti, esponeva nel cortile davanti a casa una bandiera americana accanto a una Madonna Addolorata di gesso»
«Il padre di Ben aveva parcheggiato e stava scendendo. Portava con sè il suo austero spirito di sacrificio, la sua infinita virtù. Ben corse da lui ed entrò nella sua bontà, nel suo rigore e nel suo lavoro quotidiano. Per un attimo furono entrambi la stessa persona. Poi suo padre disse “Ehi, socio, come va?” e il suono della sua voce fu sufficiente a separarli. Il padre di Ben viveva una vita d’attese, Ben era ciò che lui aspettava.»

Alcune dalla descrizione asciutta e profonda di desideri o sentimenti:
« Voleva ciò che lui non poteva darle. La sua infanzia, le sue paure. Le sue spiegazioni. Non che fosse sgarbato, ma viveva in un suo mondo. E lei poteva impararne le regole solo violandole. Nel mondo di Levon i complimenti erano insulti e le storie bugie.»
«Susan era sopraffatta da una collera spassionata, incandescente, diversa da tutto ciò che aveva conosciuto. Auspicava la rovina di quelli che possedevano quelle comode case, che s'occupavano di quei giardini o pagavano altri perchè se ne occupassero. Augurò fallimenti a quelle persone, malattie, perdite inenarrabili. Toccò un tronco d'albero e pensò a un'inondazione che travolgesse questa strada innocente, a un muro ribollente di fango che sfondasse le porte delle case»

Alcune da alcune battute capaci di dare gioia e luce ai momenti più bui:
«L’amore ha una brutta fama. A chi non farebbe paura dopo tutti quei film?»
«Sinceramente, come hai fatto a cavartela in tutto questo tempo senza mascara impermeabile e senza umorismo?»

Il Bignamino:Una volta un uomo infuriato trascinò il proprio padre sul terreno del suo frutteto. “Fermati!” gridò infine il vecchio gemente. “Fermati! Io non ho trascinato mio padre oltre questo albero”».
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