«Sono uno sbirro, ingegnere. Suo cugino ha messo in moto il meccanismo che disgraziatamente ho in testa e questo meccanismo non è più capace d'arrestarsi se non produce qualche risultato». Ecco l’origine di questi venti racconti, Montalbano non è capace di arrestare quel meccanismo nato da un gesto inopportuno, un tono di voce incongruo, una parola fuoriposto, e lui è li a non darsi pace fino alla soluzione del busillisi. Si può obiettare che la forma di narrazione breve mal si adatti al talento di Camilleri, eppure a mio avviso è tutto li, nell’arancino. Questa meravigliosa frittura non ha la vastità di una cena, il suo dolce svolgersi in antipasto, primo e secondo, la sua strutturata completezza, eppure se avete mai cenato ad arancini, fatti “come Dio comanda”, vi troverete a divorarli uno dopo l’altro, e a non rimpiangere nulla di una cena sfarzosa. Così questi racconti forse mancano dell'atmosfera e nelle ambientazioni che si "respirano" durante lo studiato dipanarsi dei libri di Camilleri, ma nelle narrazioni vi è tutta la dignità dei suoi libri più belli, piccole storie fatte “come Dio comanda”, da divorare una dopo l’altra.
Troverete il sempre vulcanico Catarella:
"Pronti,dottori? è lei pirsonalmente di pirsona?"
"Si,Catarè."
"Che faceva,dormiva?"
"Che faceva,dormiva?"
"Sino a un minuto fa si,Catarè."
"E ora inveci non dorme cchiù?"
"No,ora non dormo più,Catarè."
"Ah,meno mali."
"Meno mali perchè,Catarè?"
"Pirchì accussì non l'arrisbigliai dottori."
O spararlo in faccia alla prima occasione o fare finta di niente.
Troverete le sue barocche cortesie:
«Catarella, mi devi fare un favore speciale e importante.»
«Dottori, quando vossia mi addimanda a mia pirsonalmente di farci un favore a vossia pirsonalmente di pirsona, fa un favori a mia quando che me l'addimanda.»
Troverete quell’italiana diffidenza verso la giustizia:
«Mi dica una cosa, Trupia, perché questo non l'ha detto al processo?»
«Pirchì nisciuno mi lo spiò. E po' iu con la liggi non ci voliva aviri a che fari. Cu si trova ammiscato con la liggi, cu lu tortu o cu la ragioni, ci perdi sempre le spise.»
«E perché ora mi sta contando tutto? Io sono un orno di legge. E lei lo sa benissimo.»
«Egregiu signuri, vossia non considera ca iu haiu sittant'anni passati. E perciò minni pozzu fùttiri tantu di vossia quantu di la liggi ca vossia rappresenta.»
Ho trovato il piacere tutto Messinese di ridere alla babbiata di Fazio: «Tra Pace e Contemplazione si trova il Paradiso...»
Ma soprattutto troverete...la vera ricetta degli arancini...e perfavore...non chiamateli crocchette di riso:
«Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appressosi pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini `na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con
la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s'ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!»