Uno sguardo sulle mie letture

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martedì

Kitchen, di Banana Yoshimoto


Banana Yoshimoto è nata a Tokyo nel 1964, figlia di uno dei più importanti filosofi giapponesi degli anni sessanta, con una sorella conosciuta come una delle migliori fumettiste di anime giapponesi. Laureata al college delle arti, “Kitchen” è il suo primo romanzo con oltre sessanta ristampe in Giappone. Quando ho iniziato a leggerlo ho trovato uno dei più begli incipit mai letti:

“Non c’e’ posto che io ami di più della cucina. Non importa dove si trova, com’e’ fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi. Nei momenti in cui sono molto stanca, mi succede spesso di fantasticare. Penso che quando verrà il momento di morire, vorrei fosse in cucina…”

Certo, il mio criterio estetico qui si identifica con il mio stile di vita, ma poco importa. Kitchen è un romanzo sulla solitudine giovanile che utilizza un linguaggio assai fresco e originale, una rielaborazione letteraria dello stile dei fumetti manga. Una storia di madri, amore, tragedia, l’influenza della cucina e della casa sulle vite. Il segreto di tanto successo? Probabilmente più che i contenuti, sono le atmosfere. Descrive sensazioni che riportano all'infanzia, che soprattutto i più piccoli provano nella loro genuinità. Cose molto semplici, una bella giornata di sole, la separazione da una persona cara…l’amore per il cibo e per il suo tempio, la cucina per l’appunto. Emozioni che tutti abbiamo provato in una fase della nostra vita, e che come tali possono essere recepite da tutti.
Un libro che non mi ha stregato ma ammetto che a tratti l’apparente semplicità di alcune narrazioni ha fatto eco nella mia mente e nel cuore, come quando ho letto del fenomeno Tanabata: ogni cento anni  è possibile vedere, presso i grandi fiumi, l’immagine di una persona cara che è morta. Questo, però, avviene solo se c’è corrispondenza tra i pensieri di chi è morto e il dolore di chi lo ha perduto…Chi di noi non ha almeno una persona cara da voler vedere su quel fiume, quel giorno, per un ultimo saluto? 

Voto: ***
Il Bignamino: Cucino, dunque sono