Uno sguardo sulle mie letture

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martedì

Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci


Lettera a un bambino mai nato è un libro scritto da Oriana Fallaci nel 1975. La protagonista del libro si scopre incinta e tutta la narrazione si dipana intorno ad una domanda semplice “E’ giusto o meno mettere alla luce un bambino?”
Un libro, come riferisce la stessa Fallaci, è dedicato…
”A chi non teme il dubbio a chi si chiede i perché‚ senza stancarsi e a costo di soffrire di morire. A chi si pone il dilemma di dare la vita o negarla questo libro é dedicato da una donna per tutte le donne.”
 Ora, se c’è una cosa che ci unisce tutti tra di noi, io che scrivo e voi che leggete e commentate, è che siamo tutti figli. Poco importa se la vostra famiglia non l’avete mai vista o se invece è più felice di quella della Barilla. Tutti siamo stati messi al mondo non per nostra volontà ma perché qualcuno ha scelto per noi. Ed allora ecco il percorso di mente ed anima di una donna davanti a questa scelta. Una donna sempre contemporanea, priva di nome, volto e età. Le domande fondamentali che la donna si pone sin dal concepimento riguardano la legittimità e l'accettazione della nascita da parte del bambino in un mondo ostile, violento e disonesto.
“Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non é paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non é paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. E paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato.”
Una madre che contiene in sè il seme della vita e che comunica al proprio figlio com’è difficile vivere fuori dal grembo. Un mondo dove non si vive, ma si sopravvive, dove la giustizia non esiste, il domani è uno ieri, pieno di errori, l’amore solo una parola priva di significato e gli amici rari. Una madre che vorrebbe farsi conoscere dal proprio figlio, ancor prima che nasca, e per farlo usa le sue favole spesso amare, pentendosene….
“Mi pento d'averti fornito sempre gli esempi più brutti, di non averti mai raccontato lo splendore di un'alba, la dolcezza di un bacio, il profumo di un cibo. Mi pento di non averti fatto ridere mai. Se tu mi giudicassi dalle fiabe che narravo, saresti autorizzato a concludere che io sono una specie di Elettra sempre vestita di nero. D'ora innanzi devi immaginarmi come un Peter Pan sempre vestito di giallo di verde di rosso e sempre intento a stendere nastri di fiori sui tetti, sui campanili, sulle nuvole che non diventano pioggia.”
Una donna che infine lancia una sfida al proprio figlio: a lui il diritto di decidere se vuole esistere o no, a lei il diritto di esistere senza lasciarsi condizionare da lui. Una storia particolare, che fa venire i brividi, in un accavallarsi di suspance che lascia senza fiato. E poi il colpo di scena, il verdetto finale:
“Lasciami parlare, mamma. Non avere paura. Non bisogna aver paura della verità…me lo hai insegnato tu che la verità é fatta di molte verità differenti. Sono nel giusto coloro che ti hanno accusato e coloro che ti hanno difeso, coloro che ti hanno assolto e coloro che ti hanno condannato. Però quei giudizi non contano. Tuo padre e tua madre hanno ragione a rispondere che non si può entrare nell'anima altrui, e che l'unico testimone son io. Soltanto io, mamma, posso affermare che mi hai ucciso senza uccidermi. Soltanto io posso spiegare come l'hai fatto e perché…Ma perché‚ dovrebbe esistere, perché‚ deve esistere (uno scopo), mamma? Lo scopo qual é? Te lo dico io, mamma: un'attesa della morte, del niente. Nel mio universo che tu chiamavi uovo, lo scopo esisteva: era nascere. Ma nel tuo mondo lo scopo é soltanto morire: la vita é una condanna a morte. Io non vedo perché avrei dovuto uscire dal nulla per tornare al nulla”
Ma in questo processo dell’anima matura la consapevolezza che non è possibile dare giudizi…“Quasi che il dilemma di esistere o non esistere si potesse risolvere con una sentenza o un'altra, una legge o un'altra, e non toccasse ad ogni creatura risolverlo da se per se. Quasi che intuire una verità non aprisse interrogativi su una verità opposta, ed entrambe non fossero valide”
Cosi rimane solo l’amarezza di una madre per un figlio che avrebbe voluto vedere vivere perché “Benedetto colui che può dirsi: «Io voglio camminare, non voglio arrivare». Maledetto colui che si impone: «Voglio arrivare fin là». Arrivare é morire”
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