
Sembra che Larsson sul divano bianco dell'appartamento di Stoccolma era solito rivolgere a Eva Gabrielsson, la sua compagna di oltre trent'anni, i suoi «Non indovinerai mai che cosa ha appena fatto Lisbeth Salander». Perche’ alla fine della trilogia ci si è ormai affezionati a lei, forse innamorati, ed allora poco importano i diversi, presunti, difetti, la domanda che ci si pone e’ sempre la stessa, quella dell’autore, di cosa sarà mai capace stavolta Lisbeth Salander?
Forse è vero che Lisbeth è un’icona di ciò che molte ventenni vorrebbero essere, e di come molte 45enni oggi vorrebbero essere state. E’ ribelle e intelligente, anticonformista in senso stretto, una che ama vivere al suo personalissimo modo e secondo le sue regole con una forte allergia per qualsiasi tipo di autorità. E’ sociopatica, cinica, dura e soffre di una sindrome con una vaga componente autistica.
Un personaggio commovente ed intenso, che si ha l’impressione abbia preso vita e spazio, pian piano, fino a che Larsson, intelligentemente, non si è limitato solo a gestirlo, approfittando di un profilo psicologico inquietante ma pieno di fascino, ma ne ha fatto il perno attorno a cui ruota l’intera trilogia. E alla fine questo terzo volume non solo è godibile quanto gli altri ma per una volta chiude degnamente una trilogia. E se così non fosse, poco importa perchè alla fine, ciò che rimane davvero è l’immagine unica ed indimenticabile di lei, di Lisbeth, una donna che odia gli uomini che odiano le donne.
The End? Forse, ormai spero nel quinto volume, contenuto nel pc di Stieg e custodito da Eva Gabrielsson, e spero che dall’aldilà’ Stieg detti a qualche medium anche il quarto manoscritto, in cui farebbe la sua comparsa la sorella gemella di Lisbeth Salander. La speranza è come Lisbeth, l’ultima a morire.
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