Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

venerdì

Ti prendo e ti porto via , Di Niccolò Ammaniti


Tanti personaggi dal passato molto diverso, perfetti per essere intrecciati in un presente noir che non rinuncia ad essere ironico, vite che scorrono parallele tra il grottesco ed il cinico, tra disperazione e filosofia, a volte si sfiorano appena ma subito si ricompongono in attesa del finale. Ad essere protagonista anche quell'età fragile come vetro soffiato che sono i 12 anni, un’etá di passaggio dall'infanzia all'adolescenza, un passaggio che puó essere baratro,voragine, da saltare senza neanche accorgertene ma se ci finisci dentro vieni risucchiato e poi risputato a pezzi fuori nel mondo. Un romanzo che parla di promesse, perché di promesse ne facciamo tante, a volte per ingannare, a volte in buona fede, a volte per mantenere viva la speranza. Ammaniti ci suggerisce che tutti, prima o poi, promettono qualcosa che non possono mantenere ma a volte la vita presenta il conto, è spesso questi può essere salato.
Una storia costellata di racconti che fanno ridere (come la genesi dello Spiderman « Dentro quei sessanta milligrammi ci sono più molecole ad azione psicotropa che in tutta una farmacia. E' stata sintetizzata a Goa agli inizi degli anni Novanta da un gruppo di giovani neurobiologi californiani, cacciati dal MIT per comportamento bioeticamente scorretto, in collaborazione con un gruppo di sciamani della penisola dello Yucatan e un team di 155 psichiatri comportamentisti tedeschi. I topolini su cui hanno testato la droga dopo un quarto d'ora riuscivano a fare la verticale, a rimanere su una zampa sola e avvitarsi in un modo che ricordava i ballerini di breakdance»), riferimenti che ti regalano l’accenno di un sorriso (come quello all’enciclopedia illustrata conoscere), freddure volgari ma gustosamente simpatiche («lo odiava così tanto che in quel momento gli avrebbe ficcato su per il culo un palo coperto di sabbia e peperoncino »), domande che ci si é posti tutti almeno un paio di volte nella vita senza mai confessarselo («Perché nella vita è così importante non cagarsi sotto? Perché, per essere considerato un uomo, devi sempre fare l'ultima cosa che ti va di fare al mondo? Perché?»), e qui e li sparse trovi tante pillole di saggezza spicciola:«Non bisogna credere a quelli che ti dicono che, per apprezzare le cose della vita, bisogna farsi il culo. Non è vero. Ti vogliono fottere», « nella vita le cose passano sempre, come in un fiume. Anche le più difficili, che ti sembra impossibile superare, le superi e in un attimo te le trovi dietro alle spalle e devi andare avanti», «non è vero quello che dicono che sbagliando s'impara, non è assolutamente vero, esistono persone che sbagliando non imparano proprio niente, anzi, continuano a sbagliare convinte di essere nel giusto (o incoscienti di ciò che fanno) e con la gente così la vita, di solito, è cattiva, ma anche questo d'altronde non significa nulla, perché queste persone sopravvivono ai loro errori e vivono e crescono e amano e mettono al mondo altri esseri umani e invecchiano e continuano a sbagliare. Questo è il loro dannatissimo destino».
Un bel libro dove ho trovato piacevoli anche le digressioni lunghe e particolareggiate (e di solito io non le sopporto). L'ambiente della provincia viene ricreato molto suggestivamente attraverso queste luminose disgressioni, che come schegge spazio-temporali impazzite illuminano come flash la trama principale. Le immagini proposte rendono così tanto l'idea del luogo, della psicologia dei personaggi che lo popolano, che non pregiudicano  il tutt'uno omogeneo e sensato della storia. C’é l'episodio di due diciottenni in macchina in corsa sotto la pioggia terrorizzati da un posto di blocco della polizia, o la successione di pensieri di Alima, una prostituta che appare per mezz'ora al fianco di un personaggio più che secondario ai fini della trama. C’é la storia di un camionista di passaggio che per poco non uccide un bambino e quella del padre di Pietro  che catapulta un'asino sul vicino. E di colpo penso che senza queste storie-corollario il libro perderebbe di intensità, ed al contrario grazie a loro il libro diventa una giostra sulla quale salgono tanti non-protagonisti che iniziano a girare vorticosamente, con le loro vite, le loro follie, i sentimenti, l’assoluta perversione e la più ingenua purezza. E lo spettacolo risultante é piacevole e scorrevole, e tu ne senti far parte.  Poi la giostra si ferma, tu hai la testa che gira, cerchi una speranza dietro le ultime pagine, un messaggio che é difficile scorgere. A me ne é rimasto uno nella testa: se vuoi uscire dai binari che ti ha la tua famiglia, la tua scuola, il tuo paese, allora devi andare via. Quelli che restano non riescono a sfuggire ad una logica locale che prima culla e poi imbriglia la tua vita. E Pietro non ci sta, reagisce:
«Pierini gli domandò: "Lo sai che è morta la professoressa Palmieri?"
Pietro lo guardò negli occhi. E lo disse: "Lo so. L'ho ammazzata io"»

Pietro sfrutta la sua unica possibilità di salvarsi da una famiglia e da un destino sbagliati. Ci lascia un pó con l’amaro in bocca questo libro, ci fa provare pena per Graziano, troppo stupido per meritare di meglio dalla vita, e un’affetto che ci scalda il cuore per Pietro che incurante delle conseguenze sceglie la sola possibilità che gli si offre di studiare e crearsi una vita lontano da tutti...ma non da Gloria, è per lei quel «ti prendo e ti porto via» del titolo e quasi mi sorprendo, voltando l’ultima pagna del libro, ad augurarmi di cuore che Pietro possa esaudire questo suo proposito.