Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

lunedì

Le Ore, di Di Michael Cunningham


Cunningham è un autore a cui piace creare il nuovo utilizzando il classico, che ama mescolare i diversi piani temporali (“è buffo pensare che quello che è il presente in questo preciso momento è già passato semplicemente alla fine di questa frase” intervista con M.C.). Virginia Woolf è stata la prima grande scrittrice che ha letto, ed è stata per lui come il primo bacio, quello che non si dimentica mai. Da questo bacio nasce un libro pluripremiato, “Le ore”. Ad essere protagonista sono tre donne poste su tre piani temporali diversi, tre realtà apparentemente distanti ma legate dagli stessi temi: l’amore per la letteratura, il dolore, la fuga e…la signora Dalloway, bel romanzo di Virginia Woolf. Lo scrittore descrive la sofferenza della scrittrice, il suo male di vivere e lo fa con rispetto e delicatezza. Parla della difficoltà di Virginia nella creazione di “Mrs Dalloway”, quanto questo libro sia stato partorito nel malessere della “pazzia” con sempre più rari episodi di serenità. Virginia, ma anche Laura e Clarissa: icone della (comune?) fatica di vivere,
“C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o lì, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti tranne i bambini (e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili”
“viviamo le nostre vite, facciamo qualunque cosa, e poi dormiamo – è così semplice e ordinario. Pochi saltano dalle finestre o si annegano o prendono pillole; più persone, muoiono per un incidente; e la maggior parte di noi, la grande maggioranza, muoiono divorata lentamente da qualche malattia o, se è molto fortunata, dal tempo stesso”
Tre donne che si muovono in bilico tra la vita e la morte, ipnotizzate, ammaliate, intimorite ma mai terrorizzate dai due estremi  
“Pensa a quanto più spazio occupi un essere in vita che in morte, a quanta dimensione illusoria sia contenuta nei gesti, nel movimento, nel respiro. Morti, ci riveliamo nelle nostre vere dimensioni, e sono dimensioni sorprendentemente modeste”.
Non a caso il libro si apre con l’asciutto, straziante racconto del suicidio di Virginia, le tasche piene di pietre, terrorizzata dalla guerra, terrorizzata dalla propria malattia, terrorizzata dalla possibilità di non essere nulla, non una scrittrice ma “solo una stravagante dotata”.
Il bignamino, amo la Vita, la morte non mi spaventa, il dolore si.
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giovedì

La passione secondo Thérèse, di Daniel Pennac


Non avevo letto nulla della saga della famiglia Malaussène ed iniziare dal penultimo capitolo, La passione secondo Therese, è stato…azzardato. Ma adesso Daniel Pennac mi ha fatto scoprire un mondo difficile da abbandonare, un colorato microcosmo che vive in una ferramenta parigina, che trova il suo centro gravitazionale nella flessuosa e incontenibile famiglia Malaussen. Da questa famiglia a nucleo allargato, impreziosita da razze e religioni, da colori e spezie, si erge Thérèse, la “spiritista in vetro di Murano”, la fredda e spigolosa Thérèse, che è innamorata e vuole sposarsi, la laconica profetessa che stavolta è incapace di predire il proprio futuro perchè
“L'amore rende ciechi, Benjamin, l'amore deve rendere ciechi! Ha la propria luce. Abbagliante”…”L'amore non si predice, si costruisce”
C’è una trama coinvolgente, animata da personaggi atipici, un racconto in continua tensione che non perde di credibilità malgrado le evoluzioni talvolta improbabili della vicenda, incroci surreali ma allo stesso tempo “le solite cose insomma”, perché questo sembra essere ciò che accade nel quotidiano al capro espiatorio Benjamin  Malaussène.
Divertente ma anche feroce nell’attaccare e dissacrare una certa classe dirigente dalla parvenza irreprensibile ma che nasconde le più atroci nefandezze (in questo i nostri politici sono avanti, non perdono tempo nel salvaguardare le apparenze). Ed eccomi oggi gioiosamente costretto ad aggiungere alla mia whish list, stavolta in rigoroso ordine di pubblicazione, Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola, Signor Malaussène, e lasciare alla fine l’ultimo capitolo del ciclo di Malaussène: Ultime notizie dalla famiglia.


Titolo originale: La passion selon Thérèse
Traduzione di Yasmina Melaouah
Pag. 172, Lire 24.000 - Edizioni Feltrinelli (I Canguri)
ISBN 88-07-70105-7

Il bignamino: Bisognerebbe vivere a posteriori. Decidiamo tutto troppo presto.
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lunedì

Il lamento del prepuzio, Di Shalom Auslander



«Quand'ero bambino i miei genitori e i miei insegnanti mi raccontavano di un uomo che era molto forte. Mi dicevano che era capace di distruggere il mondo intero. Mi dicevano che era capace di sollevare le montagne. Mi dicevano che era capace di dividere le acque del mare. Era importante che tenessimo quell'uomo di buon umore. Quando obbedivamo ai suoi comandamenti, gli eravamo simpatici. Gli eravamo così simpatici che uccideva chiunque non ci amasse. Ma quando non obbedivamo ai suoi comandamenti, non gli eravamo simpatici. Ci odiava. Certi giorni ci odiava tanto da ucciderci; altri giorni lasciava che ci uccidessero altri. Noi chiamiamo questi giorni "giorni di festa". Purim è quando cercarono di ucciderci i persiani. Pesach è quando cercarono di ucciderci gli egiziani. Chanukah è quando cercarono di ucciderci i greci».
Questo è il Dio insegnato a Auslander, un Dio cinico e vendicativo, cattivo e della propria cattiveria quasi fiero, un Dio che «da lassù … si sporge oltre l’orlo della sedia per guardare giù, gomiti sulle ginocchia, telecomando in mano, il pollice appoggiato leggermente su UCCIDERE».
Shalom ripercorre la sua vita “teologicamente abusata” all’interno della creazione, “un progetto concepito nel narcisismo e nella dominazione”. L'infanzia nel quartiere ebraico ortodosso di New York, il rapporto con la madre che crede che «guidare l'automobile di Shabbat è finire il lavoro che Hitler ha cominciato», una mamma «rimasta vittima di un “errore cosmico” all’atto dell’acquisto, ed ha passato tutti gli anni da quando ho osato diventare me stesso a cercare lo scontrino. “Questo” dice mentre si cerca nelle tasche e fruga ne cappotto “non è quello che ho comprato”». Una pubertà che fa affrontare a Shalom le prime comuni pulsioni sessuali in maniera decisamente….poco comune, perché se in ogni eiaculazione muoiono cinquanta milioni di spermatozoi, a lui insegnano che ogni volta che si masturba è responsabile di…«fanno circa nove olocausti, il che mi rendeva colpevole di genocidio dalle tre alle quattro volte al giorno». Con certe premesse non poteva fuggire al destino di una perdizione adolescenziale fatta di orge di cibo non kosher, giornali pornografici e spinelli.
«Quando cominciai la terza superiore, sentii che c’era qualcosa che non andava. Mi sentivo come il cavallo sullo stemma della Ralph Lauren: non sapevo bene se l’uomo con la mazza minacciosa che portavo in groppa fosse Dio, la famiglia, la comunità o tutti e tre assieme, ma sapevo che se fossi riuscito a disarcionare quel figlio di puttana sarei potuto scappare via per sempre.»
La scuola talmudica (impossibile non ridere quando racconta della gara di benedizioni), il rapporto con gli insegnanti «A volte mi chiedo se lui, il rabbino - e anche io - non soffriamo di una forma metafisica della sindrome di Stoccolma. Tenuti prigionieri da Costui per migliaia di anni, ora Lo lodiamo, Lo difendiamo, Lo scusiamo, qualche volta uccidiamo per Lui, un esercito di teenager in deliquio che giurano fedeltà al loro Charles Manson celeste». L'adolescenza passata a sfidare Dio e i precetti religiosi che la famiglia e i rabbini gli hanno inculcato salvo poi pentirsi e maldestramente cercare di porre rimedio alle trasgressioni, per paura della vendetta divina: «l'appetito di Dio nel mettermi alla prova era insaziabile almeno quanto la mia brama di fallire, ed i suoi piani erano spesso di una complessità sbalorditiva».
Con Dio parla ogni giorno, costruisce le sue azioni pensando a come Dio potrebbe reagire, di cosa potrebbe fare a lui e alla sua famiglia, con la ferma convinzione che Dio, a volte, sia proprio uno stronzo: «È lunedì mattina, sei settimane dopo che io e mia moglie abbiamo saputo che lei è incinta del nostro primo figlio, e io sono fermo a un semaforo. Il piccolo non ha alcuna probabilità di farcela. È un trucco. Io questo Dio lo conosco, lo so come funziona. Mia moglie abortirà, oppure il bambino morirà durante il parto, oppure mia moglie morirà durante il parto, oppure moriranno tutti e due durante il parto, oppure nessuno dei due morirà e io penserò di averla scampata, e poi mentre li riporterò a casa in macchina dall’ospedale avremo uno scontro frontale con un automobilista ubriaco, e moriranno tutti e due, mia moglie e mio figlio, al pronto soccorso proprio di fronte alla stanza dove ci trovavamo solo pochi minuti prima, felici, vivi e pieni di speranze. Sarebbe proprio da Lui.».
No, Auslander non è proprio Abramo, piuttosto si sente come Isacco «il figlio che non si era mai ripreso: il pensoso progenitore, che un popolo di fedeli preferì dimenticare, da grande divento un uomo che parlava di rado, reso passivo dal trauma subito, facile al vittimismo, un uomo inerte che non sembrava aver mai superato l’ammirevole gesto di sacrificio-a-spese-d'altri del suo stimato padre. E ora eccomi qua, sacrificato al suo stesso altare, allo stesso Dio, solo che questa volta non c'era nessun montone tra i cespugli».
L’ironia e l’allegria dura fino alla fine perché malgrado Shalom Auslander non sia più osservante, egli è rimasto rimasto “penosamente, straziatamente, incurabilmente, miserabilmente religioso”, il che alla luce di quanto ha raccontato significa che vive nel terrore che Dio si vendichi di questo suo imperdonabile libro e così nella pagina finale che di solito gli autori dedicano ai ringraziamenti.scrive:
«Quindi ti prego, Dio non uccidere mia moglie a causa di questo libro. Non uccidere mio figlio e non uccidere i miei cani. Se devi per forza uccidere qualcuno, uccidi Geoff Kloske alla Riverhead Books (il suo editore ndr). .... ma non uccidere me. E non uccidere Orly. E non uccidere nostro figlio. Dopotutto è solo un libro! ».

Una storia piacevole e divertente, trasgressiva ed accorata; a tratti si insinua il dubbio che, in fondo, siamo tutti un pò Shalom Auslander, che per quanta fede possiamo avere, indipendentemente dal credo e cultura, ci sono sempre dei momenti della nostra vita in cui Dio sembra averci preso di mira, sembra concederci grandi gioie per il gusto di lasciarci impreparati e deboli di fronte alla disgrazia che capita immancabilmente dopo.
Se il dialogo diretto con Dio è da sempre visto come una comunione spirituale altissima, non si può certo additare questo romanzo di blasfemia, in quanto parla con Dio con molta più sincerità e molta meno ipocrisia della maggior parte delle persone che si ritengono credenti o religiose. Sbagliato è anche affermare che sia un libro contro la religione ebraica, un'ode all'agnosticismo, al contrario è un libro contro chi insegna ogni religione come terrorizzante e abusiva, un libro quindi contro ogni fanatismo, che sfrutta alla perfezione le armi dell’irriverenza e del divertimento.

PS Passerò questo dicembre fra la città più santa e quella meno santa di Israele, se il vostro sito Virtual-Jerusalem si bloccasse non facendosi più carico di infilare nelle fessure del Muro del tempio delle preghiere inviate via e-mail, mi offro volontario, ma evitate di scrivere missive come queste «Caro Dio, per favore non uccidere mio figlio durante il parto: E neanche mia moglie. Forse sei incazzato con me, ma io pure sono incazzato con te, quindi vediamocela tra di noi. Grazie.»

Il Bignamino: le fotografie non rappresentano il reale contenuto.

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martedì

Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci


Lettera a un bambino mai nato è un libro scritto da Oriana Fallaci nel 1975. La protagonista del libro si scopre incinta e tutta la narrazione si dipana intorno ad una domanda semplice “E’ giusto o meno mettere alla luce un bambino?”
Un libro, come riferisce la stessa Fallaci, è dedicato…
”A chi non teme il dubbio a chi si chiede i perché‚ senza stancarsi e a costo di soffrire di morire. A chi si pone il dilemma di dare la vita o negarla questo libro é dedicato da una donna per tutte le donne.”
 Ora, se c’è una cosa che ci unisce tutti tra di noi, io che scrivo e voi che leggete e commentate, è che siamo tutti figli. Poco importa se la vostra famiglia non l’avete mai vista o se invece è più felice di quella della Barilla. Tutti siamo stati messi al mondo non per nostra volontà ma perché qualcuno ha scelto per noi. Ed allora ecco il percorso di mente ed anima di una donna davanti a questa scelta. Una donna sempre contemporanea, priva di nome, volto e età. Le domande fondamentali che la donna si pone sin dal concepimento riguardano la legittimità e l'accettazione della nascita da parte del bambino in un mondo ostile, violento e disonesto.
“Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non é paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non é paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. E paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato.”
Una madre che contiene in sè il seme della vita e che comunica al proprio figlio com’è difficile vivere fuori dal grembo. Un mondo dove non si vive, ma si sopravvive, dove la giustizia non esiste, il domani è uno ieri, pieno di errori, l’amore solo una parola priva di significato e gli amici rari. Una madre che vorrebbe farsi conoscere dal proprio figlio, ancor prima che nasca, e per farlo usa le sue favole spesso amare, pentendosene….
“Mi pento d'averti fornito sempre gli esempi più brutti, di non averti mai raccontato lo splendore di un'alba, la dolcezza di un bacio, il profumo di un cibo. Mi pento di non averti fatto ridere mai. Se tu mi giudicassi dalle fiabe che narravo, saresti autorizzato a concludere che io sono una specie di Elettra sempre vestita di nero. D'ora innanzi devi immaginarmi come un Peter Pan sempre vestito di giallo di verde di rosso e sempre intento a stendere nastri di fiori sui tetti, sui campanili, sulle nuvole che non diventano pioggia.”
Una donna che infine lancia una sfida al proprio figlio: a lui il diritto di decidere se vuole esistere o no, a lei il diritto di esistere senza lasciarsi condizionare da lui. Una storia particolare, che fa venire i brividi, in un accavallarsi di suspance che lascia senza fiato. E poi il colpo di scena, il verdetto finale:
“Lasciami parlare, mamma. Non avere paura. Non bisogna aver paura della verità…me lo hai insegnato tu che la verità é fatta di molte verità differenti. Sono nel giusto coloro che ti hanno accusato e coloro che ti hanno difeso, coloro che ti hanno assolto e coloro che ti hanno condannato. Però quei giudizi non contano. Tuo padre e tua madre hanno ragione a rispondere che non si può entrare nell'anima altrui, e che l'unico testimone son io. Soltanto io, mamma, posso affermare che mi hai ucciso senza uccidermi. Soltanto io posso spiegare come l'hai fatto e perché…Ma perché‚ dovrebbe esistere, perché‚ deve esistere (uno scopo), mamma? Lo scopo qual é? Te lo dico io, mamma: un'attesa della morte, del niente. Nel mio universo che tu chiamavi uovo, lo scopo esisteva: era nascere. Ma nel tuo mondo lo scopo é soltanto morire: la vita é una condanna a morte. Io non vedo perché avrei dovuto uscire dal nulla per tornare al nulla”
Ma in questo processo dell’anima matura la consapevolezza che non è possibile dare giudizi…“Quasi che il dilemma di esistere o non esistere si potesse risolvere con una sentenza o un'altra, una legge o un'altra, e non toccasse ad ogni creatura risolverlo da se per se. Quasi che intuire una verità non aprisse interrogativi su una verità opposta, ed entrambe non fossero valide”
Cosi rimane solo l’amarezza di una madre per un figlio che avrebbe voluto vedere vivere perché “Benedetto colui che può dirsi: «Io voglio camminare, non voglio arrivare». Maledetto colui che si impone: «Voglio arrivare fin là». Arrivare é morire”
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Kitchen, di Banana Yoshimoto


Banana Yoshimoto è nata a Tokyo nel 1964, figlia di uno dei più importanti filosofi giapponesi degli anni sessanta, con una sorella conosciuta come una delle migliori fumettiste di anime giapponesi. Laureata al college delle arti, “Kitchen” è il suo primo romanzo con oltre sessanta ristampe in Giappone. Quando ho iniziato a leggerlo ho trovato uno dei più begli incipit mai letti:

“Non c’e’ posto che io ami di più della cucina. Non importa dove si trova, com’e’ fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi. Nei momenti in cui sono molto stanca, mi succede spesso di fantasticare. Penso che quando verrà il momento di morire, vorrei fosse in cucina…”

Certo, il mio criterio estetico qui si identifica con il mio stile di vita, ma poco importa. Kitchen è un romanzo sulla solitudine giovanile che utilizza un linguaggio assai fresco e originale, una rielaborazione letteraria dello stile dei fumetti manga. Una storia di madri, amore, tragedia, l’influenza della cucina e della casa sulle vite. Il segreto di tanto successo? Probabilmente più che i contenuti, sono le atmosfere. Descrive sensazioni che riportano all'infanzia, che soprattutto i più piccoli provano nella loro genuinità. Cose molto semplici, una bella giornata di sole, la separazione da una persona cara…l’amore per il cibo e per il suo tempio, la cucina per l’appunto. Emozioni che tutti abbiamo provato in una fase della nostra vita, e che come tali possono essere recepite da tutti.
Un libro che non mi ha stregato ma ammetto che a tratti l’apparente semplicità di alcune narrazioni ha fatto eco nella mia mente e nel cuore, come quando ho letto del fenomeno Tanabata: ogni cento anni  è possibile vedere, presso i grandi fiumi, l’immagine di una persona cara che è morta. Questo, però, avviene solo se c’è corrispondenza tra i pensieri di chi è morto e il dolore di chi lo ha perduto…Chi di noi non ha almeno una persona cara da voler vedere su quel fiume, quel giorno, per un ultimo saluto? 

Voto: ***
Il Bignamino: Cucino, dunque sono