Uno sguardo sulle mie letture

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giovedì

American Dust, di Richard Brautigan


Richard Gary Brautigan ha avuto un'infanzia travagliata a causa del divorzio precoce dei genitori e dei maltrattamenti subiti dai successivi compagni della madre. La fama arriva con la pubblicazione di Pesca alla trota in America (Trout Fishing in America) nel 1961. Trecentomila copie vendute nel primo anno, lezioni tenute ad Harvard, la copertina di Time Life, un disco in cui legge poesie e racconti, acclamato come nuova voce della letteratura americana e definito “un erede di Ernest Hemingway”, “un Mark Twain psichedelico”. Ma con gli anni, e il cambiamento della società statunitense, Brautigan non riesce a replicare quel successo, si chiude sempre più in se stesso per trascinarsi inesorabilmente verso la paranoia, l’alcolismo ed infine il suicidio. Bisogna partire da questa premessa per commentare questo libro, perché American Dust è un romanzo ispirato alla vita stessa dell’autore, in cui la narrazione scorre triste e rassegnata, fra ricordi e polvere, con la consapevolezza di chi si sente ormai fuori dai giochi, editoriali e non, esiliato dal mondo. Schegge di memoria che si muovono come in preda all’alcool, senza direzioni precise, tra rimandi interni e divagazioni nonsense. Ricordi che vorrebbero esplodere e cambiare strada, correggere il passato e redimere il destino, magari con l'aiuto di Superman. Non c'è nessun collante a tenere unite le cose. Oggetti ed esseri umani in questo breve romanzo se ne stanno lì, bizzarri e indifesi come granelli di polvere, del tutto scollegati dal loro contesto, pronti a essere spazzati via dal vento, uniti soltanto dallo sguardo e dal ricordo di un adolescente.
La polvere di Brautigan non lascia molte speranze: resta il fiato corto di una vita spezzata senza conoscere “quella cosa del sogno”. 

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Il Bignamino: Il ragazzino è un uomo e ricorda tristemente l'America dei suoi sogni