Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

martedì

La trilogia della città di K., di Agota Kristof


«Arriviamo dalla Grande Città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra Madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa scatola di cartone e, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche»
Tra le pagine de “La trilogia della città di K.”, di cui avete appena letto l’incipit, potrete trovare molto dei film di David Lynch, molto delle atmosfere Kafkiane, potrete trovare la moralità in bilico dei personaggi (ora cinici, ora più umani), il sesso costantemente accompagnato da elementi che lo rendono morboso e sporco, una scrittura vista come valvola di sfogo e paradiso dove rifuggire dall’orrore circostante, la necrofilia, la pedagogia, la storia, ma soprattutto troverete un bellissimo libro. Un libro diretto, crudo, tagliente come la lama di un coltello. Una scrittura che ti induce a riflettere a quanto sia labile e accidentato il corso della vita stessa. I fatti, anche i più orribili o assurdi, sono raccontati come verità assolute, senza aggettivi, senza giudizi; l’evanescente città di K fa da filo conduttore ai tre libri, intrecciati come nelle metamorfosi di Escher, una città che a posteriori può collocarsi in un paese dell’est europeo durante la seconda guerra mondiale, a posteriori perchè per sottolineare l’indeterminatezza dei luoghi, delle identità e delle ambientazioni, si utilizzano solo delle iniziali per città e cognomi.
Storie nella storia, bambini già adulti che superano l’età della fanciullezza per ritrovarsi protagonisti di un mondo disumano che non hanno costruito, che non condividono e che li vede protagonisti indipendentemente dalla loro volontà. Costretti a subire le brutalità di una guerra che non si combatte solo al fronte, ma si riversa per le strade, nelle case, tra la gente, instillando odio, incattivendo gli animi. Storie che non lasciano spazio al futuro come possibilità di riscatto e non lasciano spazio alcuno all’amore. La terra vista solo come una colonia penale per tutti i dannati che hanno il torto di nascere. Una favola nera, una fiaba cruda, spietata, riservata rigorosamente a un pubblico adulto.
Il grande quaderno, il primo libro della trilogia, inizia proprio come molte favole, con un abbandono. Klaus e Lukas, anime gemelle, inscindibili, legate oltretutto dal reciproco anagramma dei nomi, vengono lasciati da una madre disperata alla nonna anziana, cinica, priva di sentimenti, somigliante alla classica strega delle fiabe. Durante l’allucinante ed imbruttente soggiorno presso la vecchia nonna senza cuore i due gemelli decidono di scrivere per sopravvivere imponendosi una regola tanto semplice quanto ferrea:
«il tema deve essere vero. Dobbiamo descrivere ciò che vediamo, ciò che sentiamo, ciò che facciamo. Ad esempio, è proibito scrivere “Nonna somiglia a una Strega” ma è permesso scrivere “La gente chiama Nonna la Strega” ... Le parole che definiscono i sentimenti sono molto vaghe; è meglio evitare il loro impiego e attenersi alla descrizione degli oggetti, degli esseri umani e di se stessi, vale a dire alla descrizione fedele dei fatti »
«Scriveremo: “Noi mangiamo molte noci”, e non “Amiamo le noci” perché il verbo amare non è un verbo sicuro, manca di precisione e di obiettività. “Amare le noci” e “amare nostra Madre”, non può voler dire la stessa cosa. La prima formula designa un gusto gradevole in bocca, e la seconda un sentimento»
Come si vede da questi stralci i due bambini non hanno nulla della consueta fragilità dell’infanzia: aggirandosi come esseri inquieti nel paese in guerra, appaiono come impersonali e cinici osservatori di quanto avviene attorno a loro, senza sembrarne all’apparenza toccati. Come intransigenti narratori sono proprio loro a raccontarci con adulto distacco la cupa disperazione e la miseria che li circondano, si creano un proprio modus vivendi ed una propria morale, limpida quanto primitiva nella loro concezione infantile di bene e male, che li indurrà anche a compiere atti di pura e malvagia giustizia. I drammi della guerra travolgeranno ben presto il loro paese, ma non loro, una monade d’acciaio che rimane impassibile persino di fronte all’atroce morte delle persone a loro più vicine. Il lettore farà fatica a considerare i due gemelli come personalità distinte perché l’autrice volutamente li fa muovere come un’unica entità osservatrice, come i due occhi di un unico volto.
Nel secondo libro, la prova, la struttura del romanzo si scioglie in un vortice di traiettorie di angoscia, il tempo va avanti e indietro, la narrazione è affidata ad un mostruoso gioco di specchi mentre una ricca galleria di personaggi entrano in scena senza farsi annunciare e altrettanto improvvisamente spariscono dietro il sipario della vita. Le identità si confondo, si scambiano, si annullano in un castello di menzogne; quando la vita è insopportabile e il dolore divora il corpo e l’anima, chi racconta deve falsificare i fatti,  alterare gli avvenimenti, ecco allora che i morti si confondono con i vivi. In un’esistenza sterilizzata dai sentimenti sconvolta da violenza e solitudine, dove l’amore è un eccesso, la menzogna è l’unica vena che alimenta i personaggi, e li costringe alla vita.
« cerco – afferma Lukas – di scrivere delle storie vere, ma, a un certo punto, la storia diventa insopportabile proprio per la sua verità e allora sono costretto a cambiarla. [...] cerco di raccontare la mia storia, ma non ci riesco, non ne ho il coraggio, mi fa troppo male. Allora abbellisco tutto e descrivo le cose non come sono accadute, ma come avrei voluto che accadessero».
«Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient'altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia».
Tutto viene, quindi, a confondersi, quello che prima sembrava un canto monofonico si presenta ora come una narrazione a più voci in un alternarsi di smentite e conferme che allargano il campo d’indagine e moltiplicano le angolazioni di veduta amplificando le possibilità di interpretazione e introducendo la parte conclusiva della trilogia.
Ed attraverso la disintegrazione progressiva e metodica della narrazione precedente, fino a creare nel lettore un’ansia da disorientamento, la Kristof ci trascinerà in modo avvincente nella terza menzogna, ultimo volume della trilogia, stravolgendo ogni aspettativa, perché niente è mai come sembra, e quando tutto è contraddittorio, tutto potrebbe essere falso. Vi troverete a star male, verrete irritati, sconvolti, commossi, senza romanticismi di sorta, solo dolore denudato nella sua essenza per procurare più sofferenza possibile.
«Camminiamo uno accanto all'altro fino al castello, ci fermiamo nel cortile, ai piedi dei bastioni. Mio fratello si arrampica sul muraglione e, giunto in cima, comincia a ballare al suono di una musica che sembra provenire da un sotterraneo. Balla, agitando la braccia verso il cielo, verso le stelle, verso la luna che sta sorgendo, piena. Esile figurina avvolta in un mantello nero, avanza sui bastioni ballando, io di sotto lo seguo correndo, gridando:
- No! Non farlo! Fermati! Scendi giù! Finirai per cadere!
Si ferma al di sopra di me:
- Non te ne ricordi? Camminavamo sui tetti, non avevamo mai paura di cadere.
- Eravamo giovani, non soffrivamo di vertigini. Scendi da lì!
Ride:
- Non avere paura, non cadrò, so volare. Tutte le notti plano sulla città.
Alza le braccia, salta, si spiaccica sul selciato del cortile proprio ai miei piedi».
A rimanere costante in tutti e tre i racconti è la follia umana: assassini, violenze, torture, abusi su minori, incesti, una devastante mancanza di umanità.
“Mi metto a letto e prima di addormentarmi parlo mentalmente a Lucas, come faccio da molti anni. Quello che gli dico è più o meno la stessa cosa di sempre. Gli dico che se é morto, beato lui, e che vorrei essere al suo posto. Gli dico che gli è toccata la parte migliore e che sono io a dover reggere il fardello più pesante. Gli dico che la vita è di una inutilità totale, è non-senso, aberrazione, sofferenza infinita, invenzione di un Non-Dio di una malvagità che supera l'immaginazione”

Titolo originale: Le grand cahier, La preuve, La troiséme mensogne
Anno: 1986, 1988, 1991
Pagine: 379
 Editore: Einaudi
ISBN: 978-88-06-17398-2

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Il bignamino: La terra è una colonia penale per tutti i dannati che hanno il torto di nascere