Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

lunedì

Disturbo della quiete pubblica, Di Richard Yates

Disturbo della quiete pubblica si apre con la telefonata di Wilder alla moglie, la chiama per dirle che quella sera non può tornare a casa, lei chiede spiegazioni e lui dopo qualche farneticazione sbotta: “Lo vuoi veramente sapere, dolcezza? Perché ho paura che potrei uccidervi, ecco perché. Tutti e due”.

Disturbo della quiete pubblica, questo è il verdetto scritto sulla sua cartella quando verrà ricoverato nel centro specializzato nel trattamento degli alcolizzati violenti.

E John Wilder è alcolizzato, capita che perda il controllo, si agiti, urli e rechi disturbo a chi gli sta intorno, ma è ben lontano dallo stereotipo di alcolista, egli è sposato con una moglie che “ama le parole civile, ragionevole, sistemazione e rapporto” ha un figlio ed è un uomo di successo della middle class americana. Richard Yates, uno dei “grandi scrittori meno famosi d’america”, ha però compreso che nella vita non è tutto bianco o nero, che si può avere successo nel proprio lavoro, essere il più bravo di tutti, essere definito “indispensabile”, guadagnare molto ed allo stesso tempo essere rosi dall’incertezza, dall’ansia, dalla preoccupazione di come si viene visti dall’esterno, essere sempre intenti a calcolare, a valutare, a cercare di capire chi ha avuto di più, o più facilmente. Yates ha capito che il mondo non è “il posto migliore in cui stare: il posto in cui era più probabile che ci capitassero cose razionali”, ma è un mondo diviso in bastardi fortunati e perdenti.  John Wilder ha un progetto diverso della propria vita, vuole produrre un film, cosa per cui si sente tagliato, molto più che per il lavoro che ha sempre fatto. Si sente capace di una grandezza che rimane irrealizzata perchè le persone che lo circondano non vedono le sue doti eccezionali. E all’inseguimento di questo sogno “attiva” i semi dell’autodistruzione che risiedono in lui ed innesta un meccanismo implacabile che connette le cause agli effetti attraverso gli ingranaggi di una kafkiana macchina da tortura.

Non si può rimanere indifferenti a Wilder; si ascolta, si segue, si biasima, ma non si riesce proprio a giudicarlo. Nonostante la mania di autodistruzione, l’infedeltà, la cattiveria di cui è capace per gelosia o semplicemente a causa dell’alcol, non si riesce a condannarlo o a emettere un qualunque giudizio. Lui cade e si risolleva, lo vediamo barcollante e vorremmo aiutarlo ma rimaniamo a guardarlo, fino alla fine.

Yeats riesce a raccontare non solo la storia, ma il personaggio in maniera così equilibrata, matura e onesta da lasciare l’amaro in bocca, da farci chiudere il libro pensando che la “normalità” non esiste e tutto ciò che all’apparenza sembra chiaro, limpido e logico in realtà ha tante diverse sfaccettature.

il bignamino: in nome della debolezza, delle tenebre nevrotiche, della battaglia senza speranza e delle passioni autodistruttive dell’ignoranza
***/****