Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

giovedì

Il nome della rosa, di Umberto Eco

Anno di grazia 1327.

E’ questo libro un accurato saggio storico? Ricco com’e’ di descrizioni sulla diffusione di tanti
ordini monastici e movimenti ereticali, sullo spostamento della sede papale da Roma ad Avignone, sui difficili rapporti tra Papato e Impero, sui processi dell’inquisizione e le condanne al rogo degli eretici fatte da una cristianità in crisi. O forse e’ un saggio sull'architettura e usi nel Medioevo, visto che con indescrivibile rigore e precisione sono descritti luoghi, paesaggi, architetture e bassorilievi. Forse piu’ semplicemente e’ un libro di libri, innumerevoli infatti sono le citazioni di altre opere...”Si fanno libri solo su altri libri e intorno ad altri libri. I libri parlano sempre di altri libri e ogni storia racconta una storia già raccontata". E’ tutto questo e molto altro; io preferisco vederlo soprattutto come trattato di semiologia, e’ "la parola" infatti il tema dominante, annunciato fin dalla frase introduttiva del romanzo: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio", con la sua forza, i suoi limiti e l'uso negativo o positivo che l'uomo può farne.

In questo contesto la ricca, misteriosa ed inaccessibile biblioteca benedettina e’ simbolo da un lato del fascino della cultura, dall'altro dell'enorme pericolosità in essa insita a causa del peccato d'intelletto, a causa della "lussuria della parola". Non e’ un caso d’altronde che a chiosare questo libro si ritorna immediatamente all'inizio, al titolo stesso dell'opera, con un verso:

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus

La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto nome: noi possediamo nudi nomi.

Ovvero delle cose noi non possiamo cogliere l'essenza, solo conoscerne i nomi.... L'alone di mistero che ha fino alla fine avvolto questo titolo improvvisamente si dissolve. La narrazione dell'indagine che attraversa il libro è allora la metafora della ricerca filosofica di una verità sempre sfuggente, in un mondo in cui ci si ferma solo all'aspetto esteriore delle cose, il loro nome, che pertanto non ci consente di comprendere la loro essenza reale. È un ammonimento o una constatazione di uno stato di fatto? Forse entrambi, un messaggio che chi spinge a riflettere affinché non si presuma essere depositari di verità assolute, in quanto queste saranno sempre contestabili, se non addirittura risibili.

Un inno alla ricerca della conoscenza, una celebrazione dell'innato desiderio di sapere dell'uomo e del suo terribile potere distruttivo quando esso viene in qualche modo imbrigliato. E la risoluzione del mistero alla fine ha connotati così beffardi sia nelle modalità in cui il mistero è stato risolto (Guglielmo arriva alla giusta soluzione passando dalla strada sbagliata) sia nelle sue conseguenze, tali da far dubitare che si tratti di un vero successo. Tutto è ambiguo, inafferabile, la verità si confonde con la menzogna e la vittoria ha l'amaro sapore della sconfitta. La verita’ svelata non dissipa i vari interrogativi: puo’ l’opulenza papale (di allora?) coniugarsi con il ritorno alla nuda povertà predicato dai francescani? E’ blasfemo ritenere che Gesù ridesse?

E’ vero che talvolta il romanzo risulta molto complesso, anche per la presenza di arcaismi, frasi interamente in latino, sen non addirittura in dialetto tedesco, e il ricorso ad un linguaggio molto, a tratti forse troppo erudito. Ma e’ indubbiamente un bel libro, da applauso la trama del romanzo, la narrazione presenta una straordinaria cura per il dettaglio, il modus scrivendi del libro è assolutamente ricercato.

Eco ha dichiarato ogni lettore troverà ne "Il nome della rosa" qualcosa di diverso a seconda della propria indole e delle proprie conoscenze. in questo senso va anche letta la scelta del titolo, sufficientemente ambiguo da evitare che il romanzo finisse incanalato in una classificazione di genere netta ma priva di significato e che il lettore iniziasse la lettura con già dei pregiudizi sulla natura dell'opera, magari spinto da una curiosita botanica!

domenica

Anna Karenina di Lev N. Tolstoj

Ultimamente mi sento un po…gemelli, un po  Càstore e un po Pollùce, un po Arnold Schwarzenegger (poco), e un po Danny DeVito (tanto). Chiaramente la mia lettura di Anna Karenina, ne ha risentito. E con questa dicotomia da lettore mi sono immerso nella vita della bellissima ed aristocratica Anna
«l' animazione trattenuta che balenava sul volto di lei e svolazzava tra gli occhi scintillanti e il sorriso appena percettibile , che incurvava le sue labbra vermiglie. Come se un’abbondanza di qualcosa colmasse talmente il suo essere , da esprimersi all' infuori della sua volontà ora nello scintillio dello sguardo , ora nel sorriso»
Sono partito per un viaggio alla scoperta della storia della donna che ha sfidato le regole, i precetti, le abitudini del suo tempo, combattuta tra la fedeltà imposta dal sacro vincolo del matrimonio e la passione struggente per un uomo molto più giovane di lei. Ho provato a sentire questo vento rivoluzionario che ha imperversato in un'epoca ottocentesca regnata da omologazione e ristrettezza sentimentale. Ho seguito trepidante l’inizio della tragica passione per il brillante Vronskij «“Perchè siete in viaggio?” disse, lasciando cadere la mano che stava per aggrapparsi alla colonnina. E sul suo viso splendevano l'animazione e una gioia incontenibile. “Perchè sono in viaggio?” ripeté egli, guardandola proprio negli occhi. “Voi lo sapete, io sono in viaggio per essere dove siete voi- disse- non posso fare altrimenti». La stella emergente della società russa Vronskij, che non riesce più a staccarsi da Anna perchè «Riconosceva solo a se stesso l'indubitabile diritto di amare lei».
Ho letto nelle tante coppie descritte la lotta tra il valore di una promessa d’amore e la forza travolgente della passione «È una cosa celeste, quando ho vinto / le mie brame terrene; / quando però non m'è riuscito, / ne ho pur avuto un gran bel piacere!».
 E fra questi dilemmi, le lotte di queste famiglie per la sopravvivenza «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo» governate da leggi indiscutibili «Per intraprendere qualcosa nella vita familiare, sono indispensabili o un completo dissidio fra i coniugi o un amorevole accordo. Quando invece i rapporti fra i coniugi sono indefiniti e non c'è né l'uno né l'altro, nulla può essere intrapreso».
Con uguale buona predisposizione ho fatta mia la storia dell'amore pulito tra Levin e Kitti, iniziata cosi romanticamente «quello che in lei lo coglieva sempre di sorpresa era l'espressione degli occhi, miti, tranquilli e sinceri, e in particolare il suo sorriso, che trasportava sempre Levin in un mondo incantato, dove lui si sentiva ingentilito e intenerito, come poteva ricordare di essere lui stesso in rari giorni della sua prima infanzia».
Penso di aver fatto tutto bene, ma mi sono ugualmente perso.  Questa narrativa russa non mi appassiona, innanzitutto è lunga, troppo lunga, altro che vecchi falsi stereotipi, sarà colpa dell'inverno, dovranno stare troppo tempo in casa per colpa del clima rigido ed allora si mettono a scrivere. Eppure a giudicare dalla superficiale conoscenza delle poche donne russe incrociate nella mia vita direi che alternative piacevoli alla scrittura ci sono anche d'inverno. Pensate che il De Vito in me tifava spudoratamente per Vronskij, che ha sacrificato una brillante carriera militare, ha cercato di tranquillizzare molte delle seghe mentali di Anna, e alla fine ne esce come unico colpevole, e quando già speravo che ricominciasse a vivere egli piuttosto va a farsi nobilmente ammazzare dai turchi.
E che dire dell’altra coppia,, Kitty, che dopo aver sbroccato per l’uomo sbagliato invece di andare a chiedere scusa al suo uomo va a fare la crocerossina in un centro termale in Germania, esattamente il posto e l'attività divertente che ci vogliono per una giovinetta in crisi. E quel povero Levin? La sposa e va a vivere nella sua campagna, ma per far nascere il bambino non si può mica stare li, è plus chic andare a Mosca e dissanguarsi economicamente. Meno male che al ritorno in campagna si è allietati dalla visita di parenti parassiti e di intellettuali strambi. E ci credo che in questo clima a furia di filosofiche letture e di colti ragionamenti, si distende sul prato e scopre la religione. Che, bisogna ammetterlo, dopo non so più quante pagine passate a parlare della mietitura del fieno nella campagna russa del XIX secolo, della forza lavoro e del socialismo, è pur sempre un bel miglioramento...
Scusate, non volevo essere irriverente, ma leggo tutti i commenti a questo libro come se fosse il massimo dei capolavori, ed io, che sicuramente sono l’ultimo degli ignoranti, mi sono invece annoiato, non sempre ma spesso. Almeno ho preferito prenderla con umorismo. Buon Tolstoj a tutti voi.

La citazione: E la candela con la quale ella leggeva il libro pieno di ansie, di inganni, di dolore e di male, si infiammò d'una luce più vivida che non mai, le illuminò tutto quello che prima era nelle tenebre, scoppiettò, cominciò a oscurarsi e si spense per sempre.

martedì

La prima notte, di Raul Montanari

Ad agosto del 2010 commentando il libro “che tu sia per me coltello” ponevo due domande, la prima: “Può una persona aprirsi onestamente e senza riserve ad un’altra a lei completamente sconosciuta?”. A questa prima domanda la risposta si conferma essere affermativa. Ci sono persone capaci di ammaliarci per caratteristiche insignificanti al resto del mondo, come la capacità di ascoltare, di saper chiedere scusa, di non vergognarsi nel mostrarsi vulnerabili, di non temere il giudizio di chi ci circonda, in breve di essere in sintonia con la nostra magia, “la magia che ci portiamo dentro tutti. Quella che ci fa fare le cose, che ci orienta come se fossimo dei pezzettini di ferro che subiscono l'influenza di un magnete...con la differenza che il magnete non sta fuori, sta proprio dentro”. E quando questa magia si materializza paura e desiderio “le due grandi leggi che regolano la vita di tutti noi” convergono ad un solo fine, un bellissimo, struggente, intimo, gioioso incontro non (o non solo) di corpi ma di anime.
La seconda domanda che ponevo era “ Può l’incontro con l’universo ed il linguaggio di uno sconosciuto essere altrettanto sensuale ed eccitante del primo incontro con il corpo dell’altro?” E in questo libro Montanari risponde forse meglio di grossmann a questa domanda, perché  è un libro sensuale ed eccitante che tra paura e desiderio, tenerezza e passione,  percorre due strade parallele, quella dello svelare all’altro il proprio vissuto e quella della prima notte d’amore, tra passato e presente, tra immateriale e contingente, tra corpo e pensiero…leggete questo stralcio a cavallo di questo parallelo:
"...gli uomini e le donne, secondo me, sono come i loro organi sessuali...Ma sì, confronta un pene e una vagina e sappimi dire! Il cazzo è tutto estroverso, visibile, un po' stupido, prevedibilissimo sia nelle impennate di euforia sia negli sconforti e le depressioni. A volte sa essere cattivo ma spesso invece è buffo e invadente come un cucciolo di labrador. Invece noi siamo introverse, complesse, piegose, labirintiche"
 Entrambi i libri però dimostrano come per poter emozionare non serva raccontare chissà quali avventure (anche se  in questo libro non ve ne mancheranno), ma basti esprimere le proprie esperienze, paure, debolezze e speranze con una sincerità semplice ed essenziale, sintetica ed inconfutabile ... citando D.G. “Un assioma che parli di me e di te e delle cose che la nostalgia rende fragili, vibranti e dolorose"
La citazione: “l'amore di una madre non è qualcosa che si divide e diminuisce, come un pacchetto di patatine che devono essere spartite fra uno, due, più figli. E' piuttosto come la luce che entra in una stanza e illumina ogni oggetto, ogni volto. Se si aggiunge un volto in più, la luce toccherà anche quello in uguale misura, senza togliere nulla agli altri."

giovedì

Delitto e castigo Di Fedor M. Dostoevskij


La libertà illimitata dell’uomo ed il bene dell’umanità possono legittimare ogni azione, anche l’omicidio? Si può trasformare qualsiasi uomo in uno strumento di una grande idea?
La storia di Raskolnikov sembrerebbe negare quest’ipotesi, nulla di «grande», di «straordinario» e di «universale» scaturisce dall’omicidio che ha commesso; la sua “affermazione” invece di manifestarsi nella realizzazione di un nuovo Napoleone, si tramuta in un’offesa alla vita che travolge la sua stessa esistenza, trasformandolo in un novello Oreste perseguitato dalle Erinni. E cosi il libero arbitrio che non salvaguarda nulla, per cui tutto può essere profanato diventando semplice sperimentazione della propria volontà, si dissipa tragicamente. Nel suo alter ego,  Svidrigajlov, la ribellione diventa indifferenza, l’orgoglio titanico una voluttà abbietta, il tormento per la propria caduta si trasforma in ebbrezza per la propria denigrazione. Ma in entrambi la libertà illimitata e arbitraria non sopporta se stessa, consegnandosi alla legge (Raskolnikov), o dissolvendosi  in uno stato di noia e di indifferenza autodistruttiva (Svidrigajlov). L’unica figura salvifica rimane quella di Sonja; Lei è cosciente del proprio peccato e perdona il peccato altrui, accoglie nel proprio dolore quello dell’altro, attraverso il proprio amore riconsegna a Raskolnikov  quella salvezza che sembrava irrimediabilmente perduta.
Insomma, dimenticate la faccia antipatica del vostro vecchio professore di lettere e quella di chi vi ha detto che i classici russi sono mattoni e leggendolo troverete un romanzo che è attento studio psicologico, intrigo poliziesco , apologo sulla redenzione d'un assassino, ma anche storia di dicotomie,  la vittima da sacrificare (Alena) accanto a quella innocente (Lizaveta), la madre che non si da mai per vinta (Katerina) accanto a quella docile ed arrendevole(Pul'cherija),  e le "due figlie" Sonja e Dunja, cosi diverse eppure cosi affini.  Vi rimarranno impressi i personaggi così diversi e veri, i diversi stili in cui amano esprimersi, prettamente giuridico quello di Luin, magniloquente quello di Marmeladov,  spigliato e sincero quello di Razumichin, calcolato e maieutico-socratico quello di Porfirij Petrovic, ed infine quella  "febbre”, come ultima forma di difesa del nostro corpo ad una realtà detestabile.

martedì

Il ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde


Una volta finito di leggere questo libro volevo iniziarne la recensione, ma l’analisi che più mi ha colpito sul messaggio che la tale lettura mi ha regalato e’ stata fatta dall’autore stesso, su un articolo di giornale, e quindi preferisco citarlo in maniera non originale piuttosto che fare una originalissima ma brutta recensione:
«Ogni eccesso, così come ogni rinunzia, reca il proprio castigo. Il pittore Basil Hallward, che venera troppo la bellezza fisica, come la maggior parte dei pittori, muore per mano di uno nella cui anima ha creato una vanità mostruosa e assurda. Dorian Gray, che ha condotto una vita di mera sensazione e piacere, cerca di uccidere la coscienza, e in quel momento uccide se stesso. Lord Hanry Wotton cerca di essere semplicemente uno spettatore della vita. E scopre che chi respinge la battaglia rimane ferito più profondamente di chi vi prende parte. Sì; c’è una terribile morale in Dorian Gray; una morale che i pruriginosi non riusciranno a trovarvi, ma che sarà rivelata a tutti coloro la cui mente è sana. È un errore artistico questo ? Io ho paura di sì. È l’unico errore del libro.»  Wilde considera i tre personaggi come tre maschere della propria anima. In una lettera ad un amico scrive: «Basil è ciò che io credo di essere; Lord Henry è ciò che il mondo pensa di me; Dorian ciò che mi piacerebbe essere- in altri tempi forse». Sarà lui stesso a scrivere nel romanzo «La maschera rende la vita più ampia, più ricca, più piena. E mentre consente all’edonista di godere ogni sorta di esperienze, lascia libero il pensatore di giocare con le idee, di sostenere punti di vista opposti per l’amore dell’argomentazione». Un libro che per tanti  rappresenta il classico perfetto, il must read, non conosce tempo, non invecchia, i peccati non ne intaccano lo splendore, come per il ritratto di Dorian. Eppure non riesco a definirlo tra i più belli libri mai letti. Forse a causa di quella dilatazione dettata dalla necessità di trasformare il racconto in romanzo uniformandolo alle dimensioni minime richieste dagli editori di allora. La prima versione infatti aveva tredici capitoli, quella definitiva ne ha venti ed a mio avviso i capitoli nuovi non hanno giovato alla storia; come la descrizione della famiglia di Sybil Vane e l'aggiunta del fratello marinaio, il suo tentativo di vendetta con l'improbabile quanto provvida morte accidentale. La stessa descrizione dei peccati di Dorian era lasciata nella prima versione alla fantasia del lettore. Piccole imperfezioni che ne hanno reso la lettura meno piacevole, ma in compenso quante frasi cosi belle ed eleganti che offrono tanti spunti di riflessione, le voglio condividere tutte nel gruppo “sospesi tra cielo e terra” di anobii, ma le riporto ugualmente in questa recensione:
«Non esistono libri morali o immorali, come la maggioranza crede. I libri sono scritti bene, o scritti male.
Questo è tutto.»
«L'arte in verità non rispecchia la vita, ma lo spettatore.»
«Io credo che se un uomo dovesse vivere la vita pienamente e completamente, desse forma a ogni
sentimento, espressione a ogni pensiero, realtà a ogni sogno, credo che il mondo si rinsanguerebbe di un così puro fiotto di gioia, che dimenticheremmo tutte le malattie ...Ogni impulso che tentiamo di soffocare, germoglia nella mente, e ci intossica. Il corpo pecca una volta, ed il peccato è finito, perché l'azione è un modo di purificazione. Non rimane che il ricordo del piacere, o la voluttà di un rimpianto. l'unico modo di liberarsi da una tentazione è di abbandonarsi ad essa. Resistete, e vedrete la vostra  anima intristire nel desiderio di ciò che s'è inibito, di ciò che le sue leggi mostruose hanno reso mostruoso e illegale. Dicono che i grandi eventi dell'umanità si svolgono nello spirito. Ed è nello spirito, solo nello spirito, che si commettono i grandi peccati dell'umanità »…«Oggi molte persone muoiono per un’infiltrazione progressiva di buon senso, e si accorgono troppo tardi che le sole cose che non si rimpiangono mai sono le proprie pazzie»
«la ricerca della bellezza è l’unico vero scopo della vita»
«veramente superficiali sono le persone che amano una sola volta nella loro vita. Quella che esse definiscono lealtà e fedeltà, io la definisco: o tendenza al letargo, o mancanza d'immaginazione. La fedeltà è nella vita sentimentale quello che la coerenza è nella vita dello spirito – l'accettazione di un fallimento. La fedeltà! Un giorno o l'altro dovrò pure analizzarla. Si riduce a un amore per la proprietà. Parecchie cose getteremmo via volentieri se non avessimo paura che altri le raccogliessero.»
«la personalità, non i principi ideali, dominano le epoche »
«Osservare l’eccezionale ferrea logica delle passioni, e la variopinta e commossa vita dell'intelletto – seguirli quando si incontrano e quando si separano, cogliere il punto in cui sono intonati e quello in cui sono in disaccordo – questa è una gioia!»
«i figli cominciano con l amare i genitori; crescendo in età li giudicano; e qualche volta li perdonano»
«le donne ci ispirano i capolavori poi ci impediscono di condurli a termine»
« Quando una donna si risposa, è perchè detestava il primo marito. Quando un uomo si risposa, è perchè adorava la prima moglie. Le donne cercano la fortuna, gli uomini se la giocano.»
«le manca l’indefinibile fascino della debolezza. Sono i piedi d’argilla a rendere l’oro dell’immagine prezioso.»
«Gli psicologi affermano che vi sono momenti nei quali il desiderio di peccare, o quello che il mondo chiama peccare, si impadronisce di un carattere a tal punto che ogni fibra del corpo, come ogni cellula del  cervello, pare preda a spaventosi impulsi. In tal modo gli uomini e le donne perdono il loro libero arbitrio. Si avviano, simili ad automi, verso la loro conclusione fatale e tremenda. Non hanno scelta, la coscienza è morta, o, se ancora viva, serve a dare maggiore fascino alla ribellione e alla disobbedienza. Quando Lucifero, la stella mattutina del male, cadde dal cielo, cadde come un ribelle»

Lascio per ultimo la bellissima descrizione del momento in cui Dorian si accorge del potere del suo ritratto:
«Mentre girava la maniglia della porta, il suo sguardo cadde sul ritratto dipinto da Basil Hallward. Sussultò come sbigottito. Poi entrò nella sua stanza con un'espressione perplessa. Dopo essersi
sbottonato la giacca, parve esitare. Alfine, ritornò sui suoi passi, si avvicinò al quadro e lo esaminò. Nell'incerta luce che riusciva a filtrare dalle tende di seta crema, il viso gli parve alquanto
cambiato. L'espressione appariva diversa. Si sarebbe detto che ci fosse un tocco di crudeltà sulla bocca. Era certamente strano. Si volse e, andando verso la finestra, tirò la tenda. L'alba lucente inondò la
camera e spazzò le ombre fantastiche negli angoli foschi, dove esse ristettero rabbrividendo.Ma la strana espressione che aveva notato sul viso del ritratto pareva indugiarvi;  fors'anche farsi più marcata. La luce ardente e fremente del giorno gli mostrò le pieghe della crudeltà intorno alla bocca nette come se avesse guardato in uno specchio dopo che aveva commesso qualche cosa di terribile»

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Il Bignamino:Ogni eccesso, così come ogni rinunzia, reca il proprio castigo

lunedì

1984, di George Orwell


Un romanzo chiaramente figlio dei suoi tempi, scritto nel ’48, quando nazismo e stalinismo erano temi di strettissima attualità, e chiaramente permeato da una visione del futuro che porta agli estremi le atrocità di questi regimi totalitari; descrive un nuovo totalitarismo (il Socing, socialismo inglese) ancora più terribile, che con efficientissima sistematicità, quasi scientifica, applica tutti gli strumenti del controllo totale. La profezia di Orwell, aspra e terrificante, descrive questa società senza individui, perché l’individuo, sacrificato con allucinante determinazione al culto del potere, non esiste più. L’orizzonte è asfittico, irrespirabile, l’onnipresente teleschermo vede e controlla tutto, percepisce e condiziona anche il più piccolo sussulto emotivo. In questo tipo di società ogni gesto teso a perseverare la propria integrità mentale è rivoluzionario 
Egli era un fantasma isolato, che proclamava una verità che nessuno avrebbe mai udito, ma finché avesse continuato a proclamarla, in un qualche misterioso modo l'umana catena non si sarebbe spezzata. Non era facendosi udire che si salvaguardava il retaggio degli uomini, ma conservando la propria integrità mentale. Tornò al tavolo, intinse la penna nell'inchiostro e scrisse:«Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero sia libero, gli uomini siano gli uni diversi dagli altri e non vivano in solitudine... a un tempo in cui la verità esista e non sia possibile disfare ciò che è stato fatto: Dall'età dell'uniformità, dall'età della solitudine, dall'età del Grande Fratello, dall'età del bipensiero...Salve» 
1984 è un romanzo visionario ed allo stesso tempo estremamente attuale, il concetto ad esempio di bipensiero è una cosa che fatico a relegare al semplice ruolo di finzione letteraria, specialmente vivendo in tempi e luoghi che incoraggiano la memoria breve e l’uniformazione ad un modello di pensiero comune ed acritico. Un libro che si lancia in un’analisi clinica della società e della sua storia evolutiva: 
Lo scopo principale degli Alti è quello di restare al loro posto, quello dei Medi di mettersi al posto degli Alti. Obiettivo dei Bassi, sempre che ne abbiano uno (è infatti una caratteristica costante dei Bassi essere troppo disfatti dalla fatica per prendere coscienza, se non occasionalmente, di ciò che esula dalle loro esistenze quotidiane), è invece l'abolizione di tutte le distinzioni e la creazione di una società in cui tutti gli uomini siano uguali fra loro… Dal punto di vista dei Bassi, ogni mutamento storico ha prodotto solo un cambiamento per quanto riguardava il nome dei loro padroni. 
In questo tipo di società Winston ha la possibilità di entrare in contatto con la rivoluzione, e la sua verità: 
Il libro lo affascinava o, per dir meglio, lo rassicurava. In un certo senso non gli raccontava nulla di nuovo, ma proprio questo costituiva parte della sua attrattiva. Diceva quelle cose che avrebbe scritto lui se fosse stato capace di riordinare i frammenti dei suoi pensieri. Era il prodotto di una mente simile alla sua, ma immensamente più poderosa, più sistematica, meno condizionata dalla paura. I libri migliori, pensò, sono quelli che vi dicono ciò che sapete già
1984 è un monito a cercare sempre e comunque conferma alle notizie che il potere, qualunque vestito esso indossi, fornisce attraverso gli organi d’informazione; un invito a resistere e ragionare fino allo stremo delle proprie forze, aborrendo ogni fanatismo, fino a quando la resa non diventa inevitabile: 
Ogni cosa era a posto, ora, 
Tutto era definitivamente sistemato, la lotta era finita. 
Egli era riuscito vincitore su sé medesimo. 
Amava il Grande Fratello
 

Dopo la sua lettura ho deciso di anticipare la lettura di alcuni romanzi che gli vengono contrapposti, il mondo nuovo di Huxley, in cui viene descritta una società che viene tenuta sotto controllo attraverso gli svaghi, l’edonismo, il disinteresse per cultura ed informazione e Fahrenheit 451 di Bradbury. Ed allora a presto con nuove impressioni.

Il maestro e Margherita, di Michail Bulgakov


Il maestro e Margherita, di Michail Bulgakov, è incentrato sull'idea di una visita del Diavolo nell'Unione Sovietica atea degli anni trenta. Molti critici considerano quest'opera uno dei più grandi capolavori della letteratura russa del XX secolo, un romanzo-poema di cui  Montale disse: « un miracolo che ognuno deve salutare con commozione».  E’ il romanzo che sembra abbia ispirato Salman Rushdie per la stesura dell'opera “I versi satanici”, ed i Rolling Stones per la scrittura del pezzo “Sympathy for the Devil”.
Con queste premesse le mie aspettative erano alle stelle, e sono state pienamente premiate dalla bellissima scena iniziale col Diavolo a Mosca che si intromette nel colloquio tra due scrittori di regime intenti a progettare una buona opera ateistica imperniata sulla tesi della natura mitica, e non storica, della figura di Gesù da un lato discutendo dell´esistenza di Dio, e dall´altro smentendoli sul punto a cui più tenevano («Tengano presente che Gesù è esistito»), per il semplice fatto che lui, il Diavolo, «aveva assistito personalmente» alla cosa, stando sul balcone di Ponzio Pilato.
Ecco che una simile scena, con il conseguente corollario di argomenti trattati, non te l’aspetti da un romanzo sovietico del 1940, Infatti il testo originale fu mutilato dalla censura con l’accusa di promuovere la Magia Nera e l’esoterismo .
 Il seguito merita di essere letto e gustato, non riassunto in breve, ma lasciate che condivida alcune impressioni.
Gli spunti del testo sono molteplici: la critica alla società sovietica del periodo, e segnatamente all’apparato politico che tenta di inibire la libertà di parola e di creatività, la critica alla storia umana con tanto di interpretazione su quella che probabilmente è la massima disputa concettuale-morale di tutti i tempi, ossia i fatti del Golgota e l'esistenza stessa di Gesù, nonché gli spunti autobiografici, con lo stesso Bulgakov rintracciabile nel Maestro, e sua moglie in Margherita.
I personaggi sono originali e travolgenti. Il Satana di Bulgakov ad esempio è beffardo e istrionico, man of wealth and taste, si presenta in compagnia del demone Azazello e di un enorme gatto nero bipede, un terzetto che mette a soqquadro la città scoperchiando, in un crescendo di situazioni fra il magico e il grottesco, le ipocrisie e i grigiori della società dell’epoca. Un Satana che difende l'esistenza di Dio, conscio del fatto che il male può trionfare soltanto se l'uomo ha la consapevolezza dell'esistenza del bene e volutamente lo rifiuta; un demonio saggio e lungimirante, il quale, ad un certo punto, pronuncia una frase che suona come un riferimento alla dittatura stalinista e come monito nei confronti del potere che vorrebbe imbrigliare gli intellettuali attraverso lo strumento della censura: "I manoscritti non bruciano".  I suoi sortilegi tendono più allo scherno che allo scherzo e le situazioni che nascono dal suo incontro con gli uomini si risolvono (il maestro e Margherita esclusi) quasi sempre in lutti, umiliazioni e smascheramenti di tipo clamoroso, talvolta grossolano ma non realmente comico. Un diavolo cosi può stupire ma ho scoperto che il diavolo è chiamato in Russia sut, significando anche buffone, giullare.
Il paesaggio in cui si svolge la vicenda è una Russia in cui alcuni maiali, per dirla con Orwell, sono più uguali di altri. Tra questi gli intellettuali fedelissimi alla linea del partito comunista, che festeggiano la loro oziosa vita in club d’elite, dove si mangia e si beve bene, e che per professione distruggono sistematicamente qualunque autore si ritrovi a deviare dalla linea del partito. I cenni autobiografici sembrano evidenti se si considera che su di una recensione su Bulgakov uscita su un giornale moscovita il critico letterario di regime scriveva, con la delicatezza tipica dei fanatici, che avrebbe voluto prendere la faccia dell’autore e sbatterla contro il cesso di casa. C’è il controllo del regime su ciò che il pubblico può vedere, con gli uffici che gestiscono la programmazione teatrale della città che molto ricordano, per cialtroneria, servilismo e nomina politica, chi oggi decide il palinsesto Rai.
Un racconto pervaso di un umorismo favoloso, oscillante tra senso del grottesco e satira sociale; stupisce per la grande fantasia narrativa e quell’alone di mistero e di tenebra che la avvolge, ma rimane un romanzo complesso, ed è  ostico seguire i nomi dei personaggi dato che gli scrittori russi associano spesso nomignoli alle volte più complessi dei nomi propri.
 
"Veniva da me quotidianamente, di giorno, e ad aspettarla io cominciavo sin dal mattino. Questa attesa si manifestava col fatto che spostavo gli oggetti sul tavolo. Dieci minuti prima mi sedevo vicino alla finestra e mi mettevo in ascolto, aspettando che il vecchio cancello sbattesse. E' strano: prima che l'incontrassi, poca gente veniva nel nostro cortiletto, anzi, non veniva mai nessuno, mentre adesso mi sembrava che tutta la città vi si precipitasse. Sbatteva il cancello, sbatteva il mio cuore, e si figuri, dietro il finestrino, al livello del mio viso, appariva immancabilmente un paio di stivali sporchi. L'arrotino. Ma chi aveva bisogno di un arrotino nella nostra casa? Arrotare che cosa? Quali coltelli?
Lei entrava una sola volta dal cancello, ma io avevo provato il batticuore almeno dieci volte, non dico una bugia".

“L’amore ci aveva sorpreso inatteso e violento come un assassino
che sbuchi fuori d’improvviso, e ci aveva pugnalato entrambi.
Così colpisce il fulmine, così colpisce la lama finnica.
Del resto, lei sosteneva in seguito che non avvenne così,
che noi ci amavamo sicuramente
da sempre, senza saperlo, senza esserci mai visti”