Uno sguardo sulle mie letture

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venerdì

La versione di Barney Di Mordecai Richler


Da scrittore sopraffino Richler mescola abilmente romanticismo ed ilarità, spesso accompagnando le pagine con espressioni colorite e veraci, veri tratti caratteristici di un personaggio, il Panofsky, divertente, arguto, cinico, indagatore, sprezzante, ironico, molto umano e certamente "politically uncorrect".
Se la schiettezza di Barney fa sorridere, esilaranti i dialoghi tra il protagonista e Clara Chernofsky, e’ comunque la sua debolezza che conquista. Barney crolla nelle situazioni di difficoltà, si rifugia nel fumo e nell'alcool, e compie scelte di cui non è convinto, cedendo alla forza delle circostanze e alle proprie debolezze. I suoi ricordi non seguono un filo cronologico, si muovono avanti e indietro nel tempo assecondando un flusso emozionale. Barney ci parla delle sue manie, delle sue passioni per il bere, per l’hockey, per i sigari, la sua storia è un continuo incontro-scontro, amici perduti, passioni bruciate, un susseguirsi caotico ed imprevedibile di eventi. Si rimane storditi da questo effluvio debordante di parole, ma poi, dal disordine, si ritrovano i fili. Si superano le ossessioni ed emerge la storia. Tutte le tracce disseminate lungo la pista della narrazione prendono corpo. Il quadro ritorna chiaro. Tutti gli eventi, le prese di posizione, gli sfoghi assumono un significato, ed alla fine non si può non lasciarsi andare alla commozione quando si scopre, riga dopo riga, l'epilogo della vicenda e la drammaticità della fine di un uomo dalla vita realmente imprevedibile.

«Clara aveva il terrore degli incendi. “Ti rendi conto che siamo al quinto piano e che non avremmo alcuna possibilità di fuga?” . Se qualcuno bussava alla porta senza preavviso rimaneva come paralizzata. Gli amici lo sapevano e si annunciavano sempre. “Sone Leo”, oppure “Sono l’uomo nero. Mettete gli oggetti di valore in un sacco e passatemelo attraverso la porta”. Il cibo troppo condito le dava il voltastomaco. Soffriva di insonnia, ma bastava farla bere un po’  e si addormentava come un angioletto – non che ci fosse da rallegrarsene troppo, perchè col sonno arrivavano gli incubi da cui si svegliava madida di sudore. Diffidava degli estranei e ancor più degli amici. Era allergica ai frutti di mare, e a chiunque non fosse pazzo di lei. Durante il ciclo soffriva di mal di testa, crampi, nausea ed era di un umore schifoso. Aveva terrificanti attachi di eczema. Teneva chiuso in un’anfora, conto il malocchio, un intruglio di pipì e unghie tagliate. Aveva paura dei gatti, soffriva di vertigini e se sentiva un tuono impietriva. Detestava i ragni, i serpenti, l’acqua, la gente. Ed io, lettore, questa donna l’ho sposata»