Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

martedì

L'amante, di Marguerite Duras

Ne “L’Amante” l’autrice si interroga senza sosta  sulla sua vita, schiacciata dai pregiudizi sociali ed alla ricerca di un varco per raggiungere la luce; sul silenzio che, spesso, ne prende il sopravvento; sul passato, narrato per immagini che si sovrappongono nel lento scorrere delle acque del Mekong, ma il cui succedersi cronologico é sconvolto mescolando pensieri e ricordi in un caos di reale memoria e oblio.

Al centro di queste immagini la nostra protagonista:
«Ho capelli folti, soffici, sensibili, una massa ramata che scende fino alla vita. Mi sento ripetere che sono quanto ho di più bello e io ne deduco che non sono bella»...«Sono come voglio apparire, anche bella se gli altri lo vogliono, o carina, carina diciamo per i familiari, per loro e basta, insomma posso diventare come gli altri vogliono che sia. E crederci. Anche credere che sono affascinante. Dal momento che lo credo, so anche farlo diventare vero agli occhi di chi mi vede e desidera che io sia di suo gusto. Così, in tutta onestà, posso essere affascinante...So che a far bella una donna non sono né i vestiti, né le cure di bellezza, né il prezzo degli unguenti, né la rarità e il valore intrinseco degli ornamenti. So che il problema è un’altro....Non c'era da attirare il desiderio. Il desiderio era in colei che lo provocava o non esisteva. C'era fin dal primo sguardo o non era mai esistito. Era l'immediata intesa sessuale tra due persone o non era niente»

E’una ragazzina francese che intrattiene una relazione con un giovane cinese miliardario dal futuro già confezionato su misura secondo tradizioni immutabili «Il suo eroismo sono io, il suo servilismo è il denaro paterno», troppo ricco lui e troppo giovane ed indigente lei perché questo rapporto non venga scambiato per prostituzione. La protagonista accetta l’iniziazione all’amore forse per una curiosità famelica nei confronti di una vita incomprensibile, scoprendo nel giovane innamorato una dimensione del sentimento assolutamente nuova, difficile da confrontare con gli affetti fino a quel momento vissuti.
Osa ammettere che probabilmente quello era davvero amore solo quando vi rinuncia:
 «tutto a un tratto non era più sicura di non averlo amato, solo che quell'amore non l'aveva visto perché si era perso nella storia come acqua nella sabbia».
Una separazione fisica ma non spirituale, che li lega ancora nel tempo:
LEI: «quando l'ho lasciato, per due anni non mi sono avvicinata a un uomo. Ma forse questa inesplicabile fedeltà era fedeltà a me stessa»,
LUI «Il ricordo della ragazza bianca, il suo corpo doveva esser lì, sdraiato attraverso il letto. A lungo lei deve essere rimasta la padrona del suo desiderio, ciò che per lui significava emozione, immensità della tenerezza, cupa e terribile profondità della carne».
LORO «Anni e anni dopo la guerra, dopo i matrimoni, i figli, i divorzi, i libri, era venuto a Parigi con la moglie. Le aveva telefonato. Sono io. Lei l’aveva riconosciuto dalla voce. Le aveva detto, volevo solo sentire la tua voce. Lei aveva detto, ciao, sono io. Era intimidito, aveva paura come prima, la voce improvvisamente gli tremava e in quel tremito, improvvisamente, lei aveva ritrovato l’accento cinese.  … E poi sembrava che non avesse altro da dire. Ma poi glielo aveva detto. Le aveva detto che era come prima, che l’amava ancora, che non avrebbe mai potuto smettere d’amarla, che l’avrebbe amata fino alla morte»
La colonna sonora é data dalle «grida da melodramma » della madre, dal silenzio o dalle botte dei fratelli, dai gemiti dell’amante appassionato e dai sussurri scandalistici delle compagne del collegio.

I sentimenti dei protagonisti pagina dopo pagina vengono scandagliati in profondita per poi essere riabbandonati: c’é il desiderio degli uomini che bramano la sua acerba bellezza e la colpevole inedia con cui lei lascia scorrere la propria vita,  quasi in attesa di inaspettati varchi:
«Non ho mai scritto credendo di farlo, non ho mai amato credendo di amare, ho solo aspettato davanti a quella porta chiusa», « E starò sempre lì a pentirmi di tutto quello che faccio, di tutto quello che lascio, di tutto quello che prendo»;  c’é la  meschinità del fratello maggiore, violento e profittatore, che «soffre di non poter far liberamente il male, di non disporre del male», odiato con indifferente remissività eppure parte di quella famiglia impossibile da disconoscere; c’é la fragilitá del fratello minore, incompreso e sopraffatto da tutto e da tutti, e perciò amato teneramente dalla scrittrice che tuttavia non potrà salvarlo da se stesso e dalla vita; c’é la pazza ipocrisia della madre, «imprudente, incoerente, irresponsabile», amata e disprezzata dai figli; c’é l’attrazione, la vulnerabilitá e l’amore del suo amante, fatto di una «teatralità insieme convenzionale e sincera».
Una  storia di povertà  impreziosita da felici miserie, descritta attraverso un  massiccio uso di frasi molto brevi e di ripetizioni, lasciando molto spazio ad un dialogo rapido, profondo. Una storia senza eroi, di vicende non dette, un gioco nel quale il lettore viene chiamato a protagonista assoluto, per completare con la propria immaginazione ciò che l’autrice non dice. L’intero libro trasmette la sensazione grezza di una tristezza incancellabile, una «storia di rovina e di morte che era la storia della nostra famiglia» dove una ragazzina di 15 anni può spingersi ad affermare «Credo che la mia vita abbia cominciato a delinearsi. So già parlare a me stessa, dirmi che ho vagamente voglia di morire».  Un libro che non mi pento di aver letto ma che non suggerirei ad un amico.