
Un viaggio nella storia dell’Italia, quando vinta la prima guerra
mondiale annette il sud Tirolo, zona etnicamente tedesca. Durante il fascismo
il regime decide di italianizzare la regione, sia favorendo l’immigrazione di
italiani che passano da meno di diecimila nel primo dopoguerra ad oltre
centomila nel secondo, sia imponendo l’”Opzione”, un accordo firmato da Hitler
e Mussolini secondo il quale gli altoatesini si sarebbero potuti trasferire
nella Germania nazista e che di fatto
serviva per espellere gli autoctoni che non prendevano cittadinanza italiana
(sono quasi 70.000 a trasferirsi nel terzo Reich). Per chi resta vengono
imposti divieti odiosi, come quello di non parlare tedesco, mentre i toponimi
originari vengono sostituiti con derivati dall’italiano. Nel dopoguerra anche
se il fascismo è caduto, il trattamento iniquo nei confronti degli altoatesini
nella sostanza non cambia. Seguono anni di attentati, rappresaglie,
militarizzazione del territorio con la costituzione ad hoc di un corpo speciale
dei carabinieri. In questo quadro di violenza, e di graduale scomparsa delle
più elementari norme del diritto, accaddero anche episodi estremamente gravi o
che avrebbero potuto diventarlo. Come quello della mancata rappresaglia di
Montassilone, il 13 settembre 1964, in val Pusteria dove in seguito
all’omicidio di un carabiniere, gli abitanti del borgo rischiarono di essere
fucilati per ordine di un colonnello dell’arma che aveva perso la testa.
Un
viaggio nella geografia dell’Italia, 1397 chilometri in treno, dalla sua terra
di mezzo, che Eva «chiama Südtirol ma in
italiano si dice Alto Adige, visto che la differenza è sempre stata quella, da dove
la si guarda: da sopra o da sotto», attraverso tunnel con striscie bianche che corrono a zigzag nel
buio della galleria, con «Aranciatacquamineralecocapizzettepanini!», fino alla
«visione del vasto arco dorato della costa calabrese, intervallata da fragorose
oscurità: un tunnel dopo l’altro dopo l’altro. Sembra un film proiettato così
lentamente da lasciar distinguere le strisce nere tra i fotogrammi». Infine la
luce che «In montagna è fatta di aria e di vento, il gelo la scaglia da grandi
altezze come un dardo appuntito; » ed al sud diventa «luce liquida, densa, che non colora le cose
ma ne mescola gli umori. »
Un viaggio a ritroso nel tempo, durante il quale Eva potrà
riconciliarsi con le vicende private vissute da bambina senza padre. Ce n’era stato uno, che avrebbe voluto e
potuto farle da padre, salvo poi sparire senza dare più sue notizie per
decenni. Ora che sta morendo, però, la chiama: vuole rivederla. Eva non ha
dubbi: parte. «Solo una volta nella vita mia madre è stata certa dell’amore per
un uomo, e io di quello di un padre – racconta – mentre tutti gli altri sono
passati come acquazzoni estivi: ci hanno infangato le scarpe, ma lasciato i
prati secchi». Quell’uomo è il carabiniere calabrese Vito Anania, spedito
dall’Arma a pattugliare quelle terre rese inospitali dal terrorismo «Avevano occhi di velluto e ciglia lunghe
come bambine e, pur con le uniformi e le armi, non ci riuscivano proprio a
restare marziali e anche se forse erano spaventati avevano ancora abbastanza
leggerezza da fare i complimenti alle ragazze». Vito è uno di loro, quando lo
promuovono brigadiere e lo assegnano al vettovagliamento della caserma si
preoccupa di pagare i debiti accumulati con i commercianti locali da coloro che
lo avevano preceduto. Se gli altri avevano fatto la cresta sulle forniture, lui
avrebbe combattuto contro quel legittimo risentimento anti-italiano: «Li
avrebbe convinti uno a uno: non tutti gli italiani sono truffatori. Anche così,
pensava, si serve la patria».
Un romanzo con uno sviluppo corale, ricco di affettività, la voce
di un io narrante sempre calda e carica di tenerezza, che dà un senso di
pienezza vitale e leggera, anche nella descrizione dei drammi personali e
collettivi.
La foto di copertina che ritrae una donna sola davanti allo
spettacolo delle montagne, ricorda i quadri di Edward Hopper, dove esseri umani
e paesaggi vivono in una dimensione di perfetta e struggente solitudine. Dormi
Eva, cullata da queste montagne, lasciati andare al «sonno dei feti, di
creatura e di creatore insieme, il sonno di un dio che sogna l’inizio del
tempo: il proprio».
La citazione:
E ora sto abbracciando mia mamma perché nulla e nessuno ci può
risarcire di ciò che abbiamo perduto, neppure coloro che sono colpevoli di
quelle perdite, né quelli che direttamente o meno ne sono stati l’origine o la
causa, e alla fine, quando tutti i calcoli sono stati fatti e abbiamo chiaro
chi ha tolto cosa e a chi e perché, e i crediti e i debiti e tutta la partita
doppia delle colpe e dei risentimenti è ordinata e precisa, l’unica cosa che conta
è questa: che ci possiamo ancora abbracciare, senza sprecare più nemmeno per un
istante la straordinaria fortuna di essere ancora vivi.