Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

lunedì

La breve favolosa vita di Oscar Wao, di Junot Diaz

Ci sono storie che andrebbero lette non perche’ siano meravigliose, ne per l’accattivante stile con il quale sono descritte, ne perche’ ci illuminano su un pezzo del nostro passato da non dimenticare, ma vanno lette perche sono storie dense, colorate, vive, come puo esserlo il dolore, la rabbia, l’amore.  Le vicende della famiglia Cabral fanno parte di questo tipo di storie.
Di meraviglioso la vita di Oscar Wao ha infatti ben poco, il suo intero albero genealogico, come quello di altre migliaia di dominicani, è composto da figure torturate, espropriate, martirizzate. Oscar e’ lontanissimo dallo stereotipo del domenicano tutto merengue e muscoli guizzanti, un personaggio che non si dimentica facilmente, con i suoi 120 kg, l’amore per i libri, per la fantascienza e i giochi di ruolo, con i continui riferimenti al Signore degli Anelli, con i “punti carisma” assegnati alle donne piu’ belle, l’ossessione per l’amore e la paura di morire vergine. Forse e’ solo un angelo obeso, mite e spaventato, persino un po’ sciocco.  Le sue origini dominicane ne fanno il rappresentante di una delle tante facce dell'America in cui le tradizioni e le credenze di famiglia si intrecciano con i miti locali, dando vita ad una cultura multiforme che erompe dalle pagine di Junot Diaz con una parlata che include termini spagnoli e giapponesi, senza dimenticare i numerosi riferimenti al mondo nerd. E’ stato curioso aver letto questo libro dopo “L'interprete dei malanni”, di Jhumpa Lahiri, un altro romanzo di assimilazione, un’altra cronaca frammentata dell’ambivalente e inesorabile movimento dei figli degli immigrati verso una middle class che garantisca sicurezza ed agiatezza.
Ma e’ anche la storia di Santo Domingo, "la Ground Zero del Nuovo Mondo", oppressa per trent'anni dal dittatore erotomane e sanguinario Rafael Trujillo e patria del fukù, la maledizione che perseguita chiunque si azzardi a fare qualcosa contro la Repubblica Domenicana (perché, pensavate davvero che a sparare a John Fitzgerald Kennedy fossero stati un cecchino, la mafia, gli alieni, la CIA o il fantasma di Marylin Monroe? E’ stato il fukù dopo che JFK nel 1961 tramò per far assassinare Trujillo).
E quindi un consiglio a tutti: arrivati all'ultima pagina urlate un liberatorio “Zafa!” per onorare le gesta del grande Oscar Wao! 

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 La citazione: 

Dicono che sia venuto dall’Africa, racchiuso nelle grida degli schiavi; che fosse l’anatema finale degli indiani Taino, pronunciato mentre un mondo moriva e un altro nasceva; o che fosse un demone, penetrato nella Creazione attraverso la porta dell’incubo dischiusa alle Antille. Fukù americanus, o più colloquialmente fukù: usato in genere per indicare qualche tipo di maledizione o sventura, e in particolare la Maledizione e la Sventura del Nuovo Mondo…

giovedì

Lacci, di Domenico Starnone


Cosa succede in una relazione quando si provano a reprimere le pulsioni vitali che arrivano dall’esterno? A quali compromessi bisogna scendere per ritrovare l’armonia? Quale memoria si conserva di un matrimonio sopravvissuto alla rottura? Quante narrazioni parallele vivono dentro il flusso uniforme dell’esistenza trascorsa sotto un medesimo tetto? Cosa vuol dire essere famiglia, essere madre e padre? Quale significato dare, oggi, alla parola responsabilità?

Il romanzo di Domenico Starnone costruisce un edificio che dà spazio a questi dubbi, e lo fa adottando diversi registri per produrre la spietata radiografia di un matrimonio distrutto dalle devastanti conseguenze di una relazione extraconiugale, delle ferite inferte e dell’impossibilità di suturarle con il perdono.

 Si inizia con la voce è Vanda, la moglie, con le sue lettere, con la furia e la lucidità di una donna ferita ma combattiva, feroce quasi.  Poi saltiamo al 2014, trentasei anni più tardi, e a prendere la parola è Aldo, il marito, già vecchio, fintamente svagato, sottilmente vile, con una prosa che si distende in una malinconia asciutta; la distanza di tempo e di prospettiva disorienta il passo di lettura, trasformando il libro da romanzo epistolare di una crisi a romanzo sulla rappresentazione di un matrimonio.  Infine arriviamo ai capitoli di Anna, la figlia minore, con i suoi rancori, fantasmi, la fame mai sopita di amore trasformata in avidità e bulimia. Sandro e Anna nella terza parte trovano il modo di raccontarsi quello che avevano vissuto senza poterlo mai dire: «I nostri genitori ci hanno rovinati. Si sono insediati nelle nostre teste, qualsiasi cosa diciamo o facciamo continuiamo a obbedire a loro». I lacci sono anche loro, i figli, usati per garantire il legame matrimoniale e ricomporre la famiglia, per far poggiare la tranquillità della casa sulle fondamenta sicure dell’ambiguità.

È un romanzo serio, perché con serietà e delicatezza vanno affrontati dei legami affettivi che stringono le persone per la vita, tra marito e moglie, tra genitori e figli. È significativo l'aver affidato l'ultima sezione del romanzo alle voci dei due figli della coppia, proprio perché hanno vissuto di riflesso il contrasto e la riunione dei genitori, possono fornirne una visione del tutto nuova e più profonda. Il finale, inaspettato, completa il romanzo perfezionando quel senso di amarezza che delicatamente increspa tutta la narrazione.

Potreste leggere nella storia lo specchio di una realtà che ti colpisce con la forza della sua normalità, potreste sentirvi coinvolti per esperienza personale, potreste anche essere infastiditi da stereotipi per voi crudeli. Comunque non troverete spazio per l'indifferenza. Unico appunto, non mi sento di consigliarne la lettura ai giovanissimi perché troppo disincantanto, troppo vissuto, forse troppo reale, ma anche troppo negativo con il suo fardello di ideali disattesi e di cattiverie talvolta inconsapevoli e talvolta meditate. E' un libro degli anta, dove chi ha già alle spalle un po' di vita può ritrovarsi in parte nei personaggi, nelle loro aspirazioni, nelle loro meschine fragilità, nella loro vigliaccheria del lasciar correre la vita su un binario morto.
 
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