Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

mercoledì

Candido o l'ottimismo, di Voltaire

Storia della tradizione Zen : conversazione fra un macellaio e il suo cliente.
«”Dammi il miglior pezzo di carne che hai”, disse il cliente.
“Ogni cosa è la migliore nella mia bottega”, rispose il macellaio. “Non potrai trovare qui un pezzo di carne che non sia il migliore”»
Confesso che questo libro non mi é piaciuto molto, e non so dirvi se perché mi sia sentito piccato dall’ironia su dei principi che un po faccio miei o se per il libro in se stesso. Confesso che non so nulla (meglio, non ricordo piú nulla) dell'ottimismo leibniziano, e poco mi importa se questo racconto filosofico di Voltaire sia riuscito a confutare le dottrine ottimistiche del tempo. Non mi trovo nemmeno in disaccordo con l’assunto che se ognuno coltiva il suo giardino con i mezzi che ha a disposizione (forza divolontà e proprie capacità) accontendadosi della propria situazione e senza inseguire sogni irrealizzabili, allora possa essere padrone della propria vita. Ma é davvero cosí insensato dire che il nostro sia il migliore dei mondi possibili? Che il mondo sia pieno di dolore e di insensatezza, è cosa troppo evidente per soffermarsi asottolinearla. Ma questo dolore è davvero privo di senso? Forse io sono poco obiettivo perché credo fermamente che facciamo parte di un progetto benevolo con uno scopo ben preciso, e che questo progetto qualcuno o qualcosa l’abbia creato. Da credente trovo improbabile che ad esserne l’originatore sia una forza malevola, nemmeno i più incalliti criminali creano le cose per il solo piacere di rovinarle; semmai guastano qualche cosa che già esiste; ma chi crea, mi aspetto nutri rispetto ed amore per la propria creazione. Certo, il mio é un punto di vista umano, cosa incongrua dalmomento che l'oggetto di questa riflessione è una forza che trascende la realtà naturale in una misura che non ci è dato assolutamente neanche di immaginare; ma lasciatemi passare questo vizio di fondo. A questo punto, si tratta di vedere se abbiamo abbastanza fiducia in questo “Essere” da affidarci ad esso completamente e senza riserve, il che equivale ad accettare la vita così come essa è. Se il progetto fosse buono e diretto al bene, noi ce ne dovremmo fidare, anche e soprattutto nei passaggi più impervi della vita, quando vorremmo gridare di dolore e indignazione. «accettare la vita così come essa è» non significa in alcun modocadere in una forma di cieco fatalismo, o rinunciare ad assumere tutte quelle iniziative che il nostro senso morale ci suggerisce per sanare delle situazioni di dolore, nelle quali potremmo efficacemente intervenire o nelle quali ci sentiamo spinti ad intervenire anche sapendo che non saremo in grado di modificarle. Se è un atto di resa, lo è nel senso,dolcissimo, dell'innamorato che si abbandona fra le braccia dell'amato, del quale si fida ciecamente. Accettare la vita è sentire fortemente che nessun evento di essa, per quanto doloroso e apparentemente insensato, è inutile o assurdo; significa accettare che la vit costantemente ci presenti delle occasioni, scelte, prove; ad alcune potremo dire di sì, oppure di no, altre non potremo che accettarle, senza che ció sminuisca la nostra libertá; allora non é insensato affermare che noi viviamo nel migliore dei mondi possibili, perché esso prevede la coesistenza della benevolenza e dell'armonia del disegno complessivo da un lato, la nostra libertà di scelta dall'altro.
Forse sbaglio perché giudico le conclusioni del libro invece che condividere le emozioni che mi ha trasmesso, ma ho preferito esercitare….la mia libertà di scelta.

venerdì

Novecento, Un monologo Di Alessandro Baricco

Un libro che parla dell'infinito e del finito, dell’umano sentimento di ammirare il primo ma sentirsi sicuri solo vivendo il secondo.  Novecento è questo. Un libro sul  più grande pianista di tutti i tempi, Danny Boodman T.D. Novecento, il cui nome è l’unica cosa complicata di tutto un racconto, che rimane, semplicemente ed ammirevolmente, il puro dispiegarsi di una gran bella storia.
Ed e’ curioso che a spingerci ad abbandonare questo amato finito non sia la voglia di altro, del diverso, ma al contrario la voglia di conoscerlo appieno, si sentirne il grido, quel grido che accompagnandoci dal primo istante della nostra vita non siamo in grado di percepire:
« Posso rimanere anche anni, qua sopra, ma il mare non dirà mai nulla. Io adesso scendo, vivo sulla terra e della terra per anni, divento uno normale, poi un giorno parto, arrivo su una costa qualsiasi, alzo gli occhi e guardo il mare: e lì, io l'ascolterò gridare»
Ma la paura, come a volte accade ad ognuno di noi, la vince sul nostro desiderio di conoscenza, e ci capita di arrenderci sentendoci impreparati per certe sfide «La Terra, quella è una nave troppo grande per me. E’ un viaggio troppo lungo. E’ una donna troppo bella. E’ un profumo troppo forte. E’ una musica che non so suonare. …è il pianoforte su cui suona Dio»
Non credo ci siano sfide che non si possano affontare, credo piuttosto che a volte di fronte a cio' che ci sembra troppo grande il nostro coraggio, le nostre convinzioni, i nostri ragionamenti, tutto noi stessi…crolla, senza preavviso, come un quadro
«A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, FRAN!, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, FRAN!, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, FRAN!. Non c'é una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. FRAN!. Cos'é che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, FRAN!. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buonanotte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quar to, FRAN!. Non si capisce È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio»
Non ci resta che sperare che al momento opportuno sapremo scendere dagli scalini della nostra adolescenza, della nostra citta, del nostro vecchio lavoro, di quella storia senza futuro, della consuetudine, della comodita, della sicurezza….della  vita, pur amando il finito che ci lasciamo alle spalle ma fiduciosi piu' che paurosi dell’infinito che ci aspetta alla fine della scala.

Le avventure di Huckleberry Finn, Di Mark Twain


Huckleberry e’ la parola inglese/americana attribuita al mirtillo, un arbusto selvatico che cresce nelle macchie fitte dei boschi, e che ben si coniuga al carattere “selvatico” del personaggio descritto da Twain, in una storia che descrive un’America “on the road”, anzi “on the river”. Un omaggio alla ricerca della libertà intesa come fuga da ogni tipo di schiavitú, quella dai canoni civilizzati cosí come quella dalla schiavitú, in un periodo in cui le relazioni tra bianchi e neri erano ben lontane dal risolversi. Ed il messaggio e’ ancor piú forte perché Huckleberry Finn non viene da una famiglia moderna, ma é figlio di un padre ubriacone che lo picchia e di una madre di cui non si hanno notizie. Huck non cede agli schemi della società  che gli imporrebbero di non fumare, di mettersi giacche strette e camminare con le scarpe,  e denuncia le sperequazioni dell’America di quel tempo. Twain fa fare ad Huck quello che nessun ragazzino avrebbe potuto fare, aiuta Jim a liberarsi della schiavitù prima ancora che l’America si sia accorta di avere milioni di persone tenute in schiavitù e prima ancora di sentire l’esigenza di liberarle per finalmente considerarle persone degne della libertà. Mark Twain ha descritto senza incertezze un Jim  buono, profondamente amato, amante della libertà e della vita. Accanto a lui Huck vive un conflitto morale tra i valori ricevuti dalla società in cui vive e la personale amicizia ed ammirazione. Una doppia profondità di lettura, che mantiene da un lato la vivacità delle avventure tragicomiche, ma dall’altro espone le dure condizioni di vita di schiavi e appartenenti ai ceti meno abbienti, che sul finire dell’ottocento, in particolar modo nel Sud degli Stati Uniti,  sembrano uno strano mondo popolato unicamente da pregiudizi, credenze, facilonerie, truffe e stregonerie di ogni genere.
Giro l’ultima pagina e sapere Huck tornato a casa mi allieta e dispiace al contempo, perché un ragazzo come lui, vagabondo di natura, sempre in cerca di guai e avventure, non può avere una fissa dimora. Ma Twain scrive la parola fine a queste vicende senza concluderle realmente, lasciando una porta aperta alla fantasia.
 «Chi cerchi di trovare uno scopo in questa narrazione sarà perseguito a termini di legge; chi cerchi di trovare  una  morale verrà bandito;chi di trovare un intreccio fucilato» Questo é Mark Twain, un autore che si permetteva dell'ironia anche in merito alle origini cristiane degli Stati Uniti dicendo «Anche l'Inferno ha origini cristiane».