Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

domenica

Doppio nodo , di Joyce C. Oates

La Oates è diventata una delle voci fondamentali della letteratura americana 
contemporanea, al suo attivo si enumerano centinaia di racconti, decine di romanzi, pubblicati col suo vero nome o con pseudonimi, saggi, testi teatrali, poesie. Una prolificità che ha spinto il New YorkTime a scrivere che “il nome della Oates è sinonimo di produttività”. Lei stessa ha confessato di scrivere più di un romanzo all’anno, lavorando metodicamente per molte ore al giorno. In un’intervista con Fernanda Pivano, la Oates dice: “Nei miei pensieri compare gente strana e si precisa lentamente davanti a me: prima le loro facce, poi la loro personalità e le storie personali, poi il loro rapporto con altra gente, che compare molto lentamente, e poi mi diventa chiaro una specie di intreccio mentre mi immagino come tutta questa gente si riunisce e che cosa sta facendo. Così divento loro: la mia personalità si immerge nella loro...Quando la storia è più o meno coerente ed è emersa dall’inconscio, allora posso cominciare a scrivere, in fretta, a volte in una specie di trance, esaltata ed esausta, per molte ore di seguito”.
Quindi gente strana e...delitti, che per lei non sono altro che un aspetto della nostra società, “Io scrivo sulle vittime della violenza”. E la descrizione del delitto diventa una denuncia a favore delle fasce più deboli della società moderna, spesso donne, nella difficoltà di vivere in un mondo pieno di violenza, che trova il suo massimo sfogo nelle pieghe tranquille della provincia americana, dove, dietro le staccionate imbiancate e le tendine di pizzo, si nascondono delitti inconfessabili. Quello che interessa la scrittrice, infatti, è smascherare la barbarie della società civile, facendola diventare un aspetto fondamentale della sua poetica.
«Dov’era morta non era dove sarebbe stata trovata. Questo era uno dei pochi fatti che avrebbero accertato. In una palude costiera vicino al litorale meridionale del jersey, ai margini dei Pine Barrens. Dove la marea crescente solleva il corpo, lo porta a galla e poi lo riconsegna gradualmente alla palude. Come dormire deve sembrare. Alla ragazza morta. Quel lento, ritmico sollevarsi e abbassarsi, sollevarsi e abbassarsi della marea. Come respirare.»
Un libro sospeso tra realtá, proiezione, delirio, che vede in un solo uomo due due anime protagoniste.
C’é Mc Bride, un uomo casa e lavoro, un «Povero papá: sgomento di fronte all’enormitá del mondo che ci si aspettava che lui esaminasse a fondo per i suoi figli. Non bastava che i bambini pretendessero amore, ogni grammo d’amore che gli potevi dare, questo l’aveva piú o meno saputo, e l’aveva giá spaventato non poco, ma oltre all’amore i bambini pretendevano che i genitori fornissero loro una mappa, affidabile, del mondo» ed un remissivo e laborioso impiegato, vittima e protegé di un megalomane, potente affarista, vecchio satiro da cui spesso «come un cane prediletto riceve improvvisamente un calcio”».
E c’é  Nighthawk, impulsivo e dotato fotografo freelance, caparbio al limite della stupidaggine nel fare quello che sente, conscio del potere che racchiude la sua arte: «Che cosa é una macchina fotografica se non un occhio di Dio?».
Entrambe le anime si fonderanno per affrontare «nome sconosciuto», un serial killer armato di martello per cacciare angeli «Perché l’angelo puó prendere una forma umana, qualche volta. Se hai occhi per vedere. Se non sei accecato dall’ignoranza. ‘Gli occhi dell’Uomo che spaziano contemplando le profonditá di mondi meravigliosi’ – se non siamo vigliacchi, per colpire con i nostri martelli».
Ma non c’é solo odio a unire il buono con il cattivo, essi sono accomunati anche da deliranti percorsi del desiderio che spingono Mc Bride a chiedersi se non sia lui stesso colpevole, una paura che sfocia in un’ossessione incontrollabile che mina la sua vita, la sua famiglia, la sua credibilità.
Letto l’epilogo resta l’amara sensazione che l’autore non abbia maturato lo sviluppo della trama, non abbia catturato il cuore pulsante della storia, impedendo di fatto la possibilitá di entrare in consonanza con i personaggi, con le loro intenzioni, credenze, pensieri, desideri. Manca alla fine la piacevole sensazione di aver letto una storia plausibile, ed il dubbio che questa prolifica candidata al nobel non abbia preferito scrivere il copione di un anonimo episodio di CSI.

lunedì

Ventimila leghe sotto i mari, di Jules Verne

Il Nautilus e il suo misterioso e geniale Capitano sono divenuti da tempo elementi ben presenti nell’immaginario collettivo, ma chi era Nemo? Un’Ulisse moderno? Uno scienziato pazzo? Un rivoluzionario? Un vendicatore? Un martire per la libertá? Il testo in proposito resta assai vago, descrivendo un’austera figura di nobili ideali che piange un compagno morto, sovvenziona popoli oppressi, colleziona e preserva bellezze nascoste, che contempla di lasciare ai posteri quanto di meraviglioso é stato da lui scoperto ma non esita a lanciare il Nautilus contro coloro che lo attaccano e perseguitano, per ucciderli, annientarli. Ecco come amore, dolore e la brama di sapere possono manovrare le nostre azioni.


Lontani dalla fantascienza asimoviana, quella di fine ottocento entusiasma perché ha in sé un misto d’antico e moderno, due aspetti che si fondono creando un ibrido che piace. Una fervida fantasia che anticipa il mondo venturo, tanto che oggi molti dei luoghi che Verne aveva fantasticato sono ora conosciuti o addirittura turistici!

Non un libro eccezionale, almeno non per un adulto, eppure, dovendo immaginare un fondale marino, il più incredibile e fantasioso, sarei incapace di descriverlo cosí

«alcuni arboscelli pietrificati e contorti erano disposti a zig zag e i pesci si alzavano a frotte sotto i nostri piedi come uccelli sorpresi nell'erba alta. il blocco roccioso era crivellato da anfratti impenetrabili, di profonde grotte, di buche insondabili, al cui fondo sentivo muoversi creature di grosse dimensioni. Provavo una scossa al cuore al vedere qualche enorme antenna sbarrarmi il cammino, o qualche orrenda pinza chiudersi con fracasso nelle buie cavità. Nelle tenebre ardevano migliaia di punti luminosi erano gli occhi di immani crostacei nelle loro tane, gamberi giganti ritti come alabardieri e squassanti le zampe con cigolio di ferraglia. Granchi titanici simili a cannoni a fusto, polpi spaventevoli intreccianti i tentacoli come grovigli di serpenti.Davanti a quale mondo incognito e fuori del normale mi trovavo… di quale ordine facevano parte quegli articolati, dei quali la roccia era un secondo guscio protettivo, dove aveva trovato la natura della loro vita vegetativa, e da quanti secoli trascorrevano l'esistenza sul fondo dell'oceano»

Il profumo, di Patrick Süskind


«Gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’orrore e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti. Ma non potevano sottrarsi ai profumi. Poiché il profumo è fratello del respiro. Con esso penetrava gli uomini, a esso non potevano resistere, se volevano vivere. E il profumo scendeva in loro, direttamente al cuore e là distingueva categoricamente la simpatia dal disprezzo, il disgusto dal piacere, l’amore dall’odio. Colui che dominava gli odori, dominava il cuore degli uomini».
Che tesi originale ed affascinante che spinge inevitabilmente ad una riflessione. E “il profumo” offre molti spunti di approfondimento, sì da diventare non solo un ottimo romanzo, ma anche un viaggio all’interno di un mondo affascinante come pochi. Fin dalle prime pagine,si ha l’impressione, di assistere all’epopea di un antieroe per il quale sarà difficile non provare ribrezzo e comprensione, ripugnanza ed attrazione. Grenouille ammalia ancor prima della sua storia: in lui nulla è scontato, nulla è banale e la sua vita, così come il suo essere, sono tratteggiati con tale maestria che il lettore non può che rimanerne incantato. Eclettico, immorale, folle, unico, geniale, il nostro protagonista sfrutta l’unica dote che gli è stata data, l’olfatto, per rivoluzionare la storia della puzzolente e sporca Francia della seconda metà del XVIII secolo. Una dote che lo porta ad essere introverso e  isolato «tutte queste disparità grottesche tra la ricchezza del mondo percepito con l'olfatto e la povertà del linguaggio facevano sì che il ragazzo Grenouille dubitasse del senso del linguaggio in genere, e si rassegnasse a farne uso soltanto quando i rapporti con altri esseri umani lo rendevano indispensabile». Un personaggio di una lucidità disarmante che nella sua crudeltà affascina: lo vediamo crescere, pagina dopo pagina, fino ad arrivare al pieno della consapevolezza del suo essere diverso ma superiore agli altri. Il suo animo deviato è reso così in profondità, in maniera tanto reale da gelare le viscere. Ma non riesce ad allontanarti, perché vuoi sapere, vuoi scoprire fin dove si potrá spingere. Questo suo mondo interiore, cosí povero di parole e ricco di vita, di odori, di magico, di attrattive, di bellezza, di disperata follia colpisce i nostri sensi, prima ancora dell’intelletto, e l’effetto é impressionante. Un viaggio nella storia tra grandi città e piccoli borghi, con le narici allargate, distinguendo ogni odore, incamerandoli nella mente, suddividendoli nei costituenti piú semplici. Il suo destino Grenouille lo realizza in occasione dell’anniversario dell’insediamento del re: camminando per le strade della città sente, prepotente, un profumo; lo segue, ne rimane estasiato, nessun odore poteva essere paragonato a quello, fonte inaspettata di una straordinaria felicità. Insegue quel profumo e raggiunge la ragazza che lo emana, vuole possederlo nella sua essenza. Lo fa, uccidendo la ragazza e fissando nella sua memoria le dolci esalazioni dei suoi capelli, della sua pelle, del suo sesso: «Aveva trovato la bussola per dirigire la sua vita futura. E come tutti i mostri geniali,ai quali un evento esterno lascia un solco dritto nel caos a spirale delle loro anime,Grenouille non si discostò più da ciò che credeva aver individuato come direzione del suo destino. Adesso gli era chiaro il motivo per cui era attaccato così tenacemente e rabbiosamente alla vita:doveva essere un creatore di profumi. E non uno qualsiasi,bensì il più grande profumiere di tutti i tempi».
Comincia a sperimentare, in un’attività febbrile, senza sosta. Alla ricerca della conoscenza dell’arte profumiera e...di ragazze speciali: «In effetti la fanciulla era di una bellezza squisita. Apparteneva a quel tipo di donne malinconiche che sembrano fatte di miele scuro, liscio e dolce e incredibilmente appiccicoso, che con un gesto vischioso, una scossa di capelli, una sola lenta sferzata del loro sguardo dominano l'ambiente, e tuttavia restano imperturbabili come al centro di un uragano, apparentemente inconsapevoli della propria forza gravitazionale, con cui attraggono irresistibilmente a sé i desideri e l'anima sia degli uomini sia delle donne». Solo con conoscenza e bellezza riuscirá a creare “il profumo”, quello che avrà il potere di dominare gli uomini, spingendoli, con la sua essenza ad amarlo incondizionatamente, venerarlo come un Dio, piú di un Dio. Proprio quell’amore di cui Grenouille è stato privato fin dalla nascita.
Una scrittura attenta ai particolari, feconda di dettagli odorosi, che vale la pena mettere tra le nostre conoscenze e che spesso ci porta ad esclamare: “non ci avevo mai pensato!” . Un romanzo avvincente nella misura in cui si è stregati dalla estrema freddezza e disumanità del protagonista, dal ritmo degli avvenimenti e, nel contempo, dal ritratto della Francia dell’epoca e dalla accurata descrizione dei principi che stanno alla base della profumeria. Tutto sapientemente miscelato come un profumo venuto bene. Un libro che non si legge ma si degusta. Un vortice di nefandezze che viene accettato come opera d’arte da parte del lettore. Arrivati alla fine del libro, mi accorgo di aver cambiato approccio con ciò che mi circonda, annusando un piatto prima di assaggiarlo, odorando l’aria appena fuori di casa.. cose che alle quali non avevo mai dato la giusta importanza.. e di colpo realizzi come gli odori sono una parte fondamentale della nostra percezione mnemonica più atavica, in tempi in cui, animali anche noi, fiutavamo l’aria per presagire pericoli, prede ed accoppiamenti. Nella nostra modernità gli odori hanno subito omologazioni e commercializzazioni di massa,  ciò nonostante la loro percezione a volte risveglia in noi emozioni inspiegabili, nei momenti più istintivi ed inconsci. E ti accorgi che ci sono odori che rimandano all’infanzia, all’adolescenza, a persone a cui siamo stati affettivamente legati, alla natura, alla pioggia, al mare....magari quello della mia cittá natale, di Messina, perché, come sorprendemente ho trovato scritto in questo libro, « Invecchiare modestamente a Messina non è stato proprio lo scopo della tua vita ….ma è pur sempre più onorevole e più gradito a Dio che non andare in rovina pomposamente a Parigi».

venerdì

Ti prendo e ti porto via , Di Niccolò Ammaniti


Tanti personaggi dal passato molto diverso, perfetti per essere intrecciati in un presente noir che non rinuncia ad essere ironico, vite che scorrono parallele tra il grottesco ed il cinico, tra disperazione e filosofia, a volte si sfiorano appena ma subito si ricompongono in attesa del finale. Ad essere protagonista anche quell'età fragile come vetro soffiato che sono i 12 anni, un’etá di passaggio dall'infanzia all'adolescenza, un passaggio che puó essere baratro,voragine, da saltare senza neanche accorgertene ma se ci finisci dentro vieni risucchiato e poi risputato a pezzi fuori nel mondo. Un romanzo che parla di promesse, perché di promesse ne facciamo tante, a volte per ingannare, a volte in buona fede, a volte per mantenere viva la speranza. Ammaniti ci suggerisce che tutti, prima o poi, promettono qualcosa che non possono mantenere ma a volte la vita presenta il conto, è spesso questi può essere salato.
Una storia costellata di racconti che fanno ridere (come la genesi dello Spiderman « Dentro quei sessanta milligrammi ci sono più molecole ad azione psicotropa che in tutta una farmacia. E' stata sintetizzata a Goa agli inizi degli anni Novanta da un gruppo di giovani neurobiologi californiani, cacciati dal MIT per comportamento bioeticamente scorretto, in collaborazione con un gruppo di sciamani della penisola dello Yucatan e un team di 155 psichiatri comportamentisti tedeschi. I topolini su cui hanno testato la droga dopo un quarto d'ora riuscivano a fare la verticale, a rimanere su una zampa sola e avvitarsi in un modo che ricordava i ballerini di breakdance»), riferimenti che ti regalano l’accenno di un sorriso (come quello all’enciclopedia illustrata conoscere), freddure volgari ma gustosamente simpatiche («lo odiava così tanto che in quel momento gli avrebbe ficcato su per il culo un palo coperto di sabbia e peperoncino »), domande che ci si é posti tutti almeno un paio di volte nella vita senza mai confessarselo («Perché nella vita è così importante non cagarsi sotto? Perché, per essere considerato un uomo, devi sempre fare l'ultima cosa che ti va di fare al mondo? Perché?»), e qui e li sparse trovi tante pillole di saggezza spicciola:«Non bisogna credere a quelli che ti dicono che, per apprezzare le cose della vita, bisogna farsi il culo. Non è vero. Ti vogliono fottere», « nella vita le cose passano sempre, come in un fiume. Anche le più difficili, che ti sembra impossibile superare, le superi e in un attimo te le trovi dietro alle spalle e devi andare avanti», «non è vero quello che dicono che sbagliando s'impara, non è assolutamente vero, esistono persone che sbagliando non imparano proprio niente, anzi, continuano a sbagliare convinte di essere nel giusto (o incoscienti di ciò che fanno) e con la gente così la vita, di solito, è cattiva, ma anche questo d'altronde non significa nulla, perché queste persone sopravvivono ai loro errori e vivono e crescono e amano e mettono al mondo altri esseri umani e invecchiano e continuano a sbagliare. Questo è il loro dannatissimo destino».
Un bel libro dove ho trovato piacevoli anche le digressioni lunghe e particolareggiate (e di solito io non le sopporto). L'ambiente della provincia viene ricreato molto suggestivamente attraverso queste luminose disgressioni, che come schegge spazio-temporali impazzite illuminano come flash la trama principale. Le immagini proposte rendono così tanto l'idea del luogo, della psicologia dei personaggi che lo popolano, che non pregiudicano  il tutt'uno omogeneo e sensato della storia. C’é l'episodio di due diciottenni in macchina in corsa sotto la pioggia terrorizzati da un posto di blocco della polizia, o la successione di pensieri di Alima, una prostituta che appare per mezz'ora al fianco di un personaggio più che secondario ai fini della trama. C’é la storia di un camionista di passaggio che per poco non uccide un bambino e quella del padre di Pietro  che catapulta un'asino sul vicino. E di colpo penso che senza queste storie-corollario il libro perderebbe di intensità, ed al contrario grazie a loro il libro diventa una giostra sulla quale salgono tanti non-protagonisti che iniziano a girare vorticosamente, con le loro vite, le loro follie, i sentimenti, l’assoluta perversione e la più ingenua purezza. E lo spettacolo risultante é piacevole e scorrevole, e tu ne senti far parte.  Poi la giostra si ferma, tu hai la testa che gira, cerchi una speranza dietro le ultime pagine, un messaggio che é difficile scorgere. A me ne é rimasto uno nella testa: se vuoi uscire dai binari che ti ha la tua famiglia, la tua scuola, il tuo paese, allora devi andare via. Quelli che restano non riescono a sfuggire ad una logica locale che prima culla e poi imbriglia la tua vita. E Pietro non ci sta, reagisce:
«Pierini gli domandò: "Lo sai che è morta la professoressa Palmieri?"
Pietro lo guardò negli occhi. E lo disse: "Lo so. L'ho ammazzata io"»

Pietro sfrutta la sua unica possibilità di salvarsi da una famiglia e da un destino sbagliati. Ci lascia un pó con l’amaro in bocca questo libro, ci fa provare pena per Graziano, troppo stupido per meritare di meglio dalla vita, e un’affetto che ci scalda il cuore per Pietro che incurante delle conseguenze sceglie la sola possibilità che gli si offre di studiare e crearsi una vita lontano da tutti...ma non da Gloria, è per lei quel «ti prendo e ti porto via» del titolo e quasi mi sorprendo, voltando l’ultima pagna del libro, ad augurarmi di cuore che Pietro possa esaudire questo suo proposito.

La vampa d'agosto, di Andrea Camilleri

«Stava dormendo che manco le cannonate l'avrebbero arrisbigliato. O meglio le cannonate no, ma lo squillo del telefono sì. Un omo che ai jorni nostri campa in un paisi civilizzato come il nostro (ah ah) se percepisce nel mezzo del sonno botte di cannonate, certamente le scangia per truniata di temporale, spari per la festa del santo patrono o spostamento di mobili da parte di quei garrusi che abitano di sopra e continua bellamente a dormiri. Ma lo squillo del telefono, la marcetta del cellulare, il campanello della porta, quelle no, quelle sono tutte rumorate di richiamo al quale l'omo civilizzato (ah ah) non può fari altro che assommare dalle profondità del sonno e arrispunniri»
Inizia tuonando questo libro di Camilleri, tuonando contro un paese che di civilizzato ha poco, «foresta pietrificata fatta di corruzione, imbrogli, malaffare, indegnità, affarismo», cita Dante:
«Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie ma di bordello!»
Un’Italia dove «la tempesta era addivintata giornaliera macari a causa di un nocchiere ch'era megliu perdirlu ca truvarlu. Certo, le province delle quali l'Italia era donna ammontavano ora a chiossà di un centinaro, in compenso però il bordello era crisiuto in modo esponenziale».
Tuona contro la nostra civiltá: «La lurdìa, pinsò il commissario, oramà è il signo certo che in un dato posto c'è passato l'omo: dicino infatti che l'Everest è un munnizzaro e che perfino lo spazio è addivintato una discarrica.Tra decimila anni l'unica prova che supra la terra c'èstato l'omo sarà data dalla scoperta dei grannissimicimiteri di automobili rottamate, il monumento superstitedi una civiltà (?) che fu»
Ma i tuoni, come sempre succede da noi,  lasciano presto il posto alla quiete, quella inoperosa che non si scandalizza piú, ed in questo caso anche ad un altro protagonista, il caldo, umido, afoso, che non permette di respirare, che ti asciuga i polmoni e ti bagna i vestiti. La totale incapacità di poter reagire a questo fenomeno atmosferico ti impedisce di coordinare movimenti, riflessioni, congetture.  In esso affoga Montalbano, con la sua angoscia di uomo alle prese con un senso di invecchiamento che apre le porte a debolezze e preoccupazioni, che lo rende vulnerabile come mai prima alla bellezza, portatrice di turbamenti e di pulsioni difficili da dominare, che lo rende incapace di riflettere, di mettere a posto i tasselli di un puzzle e che lo lascia piangente e sconfitto:

«Natava e chiangiva. Per la raggia, per l'umiliazione,per la vrigogna, per la sdillusione, per l'orgoglio ferito»
Bel romanzo, da leggere ad agosto in Sicilia (come ho avuto la fortuna di fare), una lettura piacevole e veloce, amara e graffiante, come un grande Camilleri sa fare.
La ricetta: la pappanozza. Cipuddree patate fatte bollire a longo, po' messe dintra a un piattoe pressate con la parti convessa di una forchetta finoa quanno addivintavano un miscuglio. Condimento:oglio, un sospetto d'acìto, sali e pepe nìvuro macinatoall'istante.

Il giro del mondo in 80 giorni, di Jules Verne


Phileas Fogg è lo stereotipo del gentleman in puro stile londinese, di figura nobile e bella, alto, slanciato, biondo di capelli e baffi, fronte liscia, colorito pallido, calmo, flemmatico, palpebra immobile, l'esattezza personificata: licenzia il suo servitore perché gli ha portato l’acqua per radersi di due gradi più fredda, intollerabile affronto, ingiustificabile mancanza. E’ ricco, di una ricchezza sconosciuta, tanto che Verne non accenna mai alla provenienza del suo immenso patrimonio.Freddo calcolatore si potrebbe definire un uomo senza brividi. Penare, pensare oltre misura, scoprirsi al mondo alle volte può essere pericoloso, lui decide quindi per una vita piatta fatta di limiti autoimposti. Ma a volte basta una parola e lo spirito ruggisce, e quella parola matura leggendo un articolo di giornale dove si afferma sia possibile fare il giro del mondo in soli 80 giorni.
E’ un romanzo del fine ottocento, in un periodo storico ricco di esplorazioni e conquiste coloniali, dove quello che stupisce è la modernità del messaggio di apertura verso culture diverse e di ricerca del nuovo: in fondo non è il risultato quello che conta, non la meta (ma non per Phileas), ma fondamentale risulta il viaggio e il percorso fatto per arrivare.
Voltata l’ultima pagina rimane un po di rammarico, ne serbavo un ricordo piú bello nella mia memoria, ed a differenza di altre letture (Il GGG, il piccolo principe, Skellig) l’ho trovato meno profondo, meno bello.