Uno sguardo sulle mie letture

Uno sguardo sulle mie letture

mercoledì

Chesil beach, di Ian McEwan


Volete analizzare i meandri piú tortuosi delle paure e delle angosce che possono scaturire dall’unione di una coppia di innamorati? La paura, l'ansia, la non conoscenza, la non confidenza con il corpo proprio e altrui, il silenzio sociale ed il pudore personale. Questi sentimenti sono narrati con precisione chirurgica in un libro che ho appena letto, chesil beach di Ian McEwan. Mi sono innamorato della capacità di McEwan di tuffarsi con tanto agio in un susseguirsi di rievocazioni e di ricostruzioni nell'esperienza intimissima di una cultura sentimentale e sessuale. Un avvenimento di poche ore sviluppato nel contesto spazio-temporale con tutti i particolari psicologici e sentimentali dei protagonisti. Un’analisi profonda dell'animo umano di grande valore storico e comportamentale umano. Una sorta di ralenti cinematografico portato fino all'estremo, un’avvincente, minuziosa ed ipnotica registrazione degli eventi.
Difficile trarre una morale da questa storia, leggendolo si percepisce la malinconia dello scrittore nel vedere due vite predestinate ad un futuro comune naufragare in seguito a condizionamenti esterni, decisioni affrettate e impeti sentimentali non mitigati dalla ragione, accompagnati in questa deriva dai tanti “e se io avessi…” che nascono ai bivi di ogni vita. I neo sposi del libro, cosi come gli adolescenti di oggi, si avvicinano ai primi rapporti sessuali con una falsa spavalderia, frutto del cameratismo maschile e femminile che ne svilisce ogni romanticismo, ne esorcizza ogni magia, assimilando la prima unione alla stregua di eventi quali il primo orecchino o la prima gita scolastica. Ed allora diventa fonte di orgoglio quando questo antico rituale avviene il prima possibile, in un insignificante gran premio dell’imbecillità. Questo libro, ponendo come centro gravitazionale la prima unione e lasciando che intorno ad esso gravitino sentimenti e destini, ne restituisce in parte la dignità di un tempo

venerdì

Veronika decide di morire, di Paulo Coelho


Vorrei riportare una riflessione sulla “pazzia” e sulla “normalità” fatta da uno scrittore che prediligo: Paulo Coelho.
Coelho è stato ricoverato per sospetti disordini mentali in un…."ospizio", per usare il nome con cui era più conosciuto a quel tempo quel tipo di ospedale. Era successo per ben tre volte: nel 1965, nel 1966 e nel 1967. Egli stesso non riusciva a comprendere il motivo del suo ricovero: forse i genitori avevano equivocato sul suo comportamento diverso, fra il timido e l'estroverso; o forse era stato per quel suo desiderio di essere un "artista", qualcosa che in famiglia tutti consideravano come il modo migliore per vivere nell'emarginazione e morire in miseria. Di certo quest’esperienza ha aiutato Coelho a maturare della pazzia una sua visione poetica e spiazzante, splendidamente sintetizzata nel dialogo lepido e lucidissimo fra un dottore e la sua paziente:

Che cos'è la realtà?”
"Ciò che la maggioranza ha ritenuto che dovrebbe
essere. Non necessariamente la situazione migliore, né la più logica, ma quella
che si è adattata al desiderio collettivo. Vedi che cos'ho intorno al collo?"
"Una cravatta."
"Giusto. La tua risposta è logica, coerente per una
persona assolutamente normale: una cravatta! Un matto, però, direbbe che porto
intorno al collo un pezzo di stoffa colorata, ridicolo, inutile, annodato in
maniera complicata, che rende difficili i movimenti della testa e richiede uno
sforzo maggiore per far entrare l'aria nei polmoni. Se dovessi distrarmi mentre
mi trovo vicino a un ventilatore, potrei morire strangolato da questo pezzo di
stoffa.
"Se un matto mi domandasse a che cosa serve una cravatta, dovrei
rispondere: "Assolutamente a niente." Non può dirsi utile neanche per
abbellirsi, perché oggigiorno è divenuta addirittura il simbolo della schiavitù,
del potere, del distacco. La sua unica utilità si manifesta al ritorno a casa,
quando una persona può togliersela, provando la sensazione di essersi liberata
da qualcosa che non sa neanche che cosa sia. "Ma quella sensazione di sollievo
giustifica l'esistenza della cravatta? No. Eppure, se domandassi a un matto e a
una persona normale che cos'è il nastro che porto intorno al collo, sarebbe
considerato sano colui che mi rispondesse: "Una cravatta." Non importa chi è nel
giusto: importa chi ha ragione."

martedì

da repubblica.it "stupri ed aggressioni incendiarie, che orrore questi adolescenti" ma chi sono i responsabili?

A seguito degli orrori eseguiti da adolescenti provenienti da famiglie benestanti e non, è lecito e necessario porsi domande su chi siano questi adolescenti, quali siano le ragioni dei loro gesti e più di tutto se vi siano dei corresponsabili in questi orrori.
Riporto di seguito diversi stralci liberamente tratti ed adattati dagli scritti corsari di Pasolini e indirizzati agli allora adolescenti neofascisti, l'attualità dei sui testi è illuminante in questa analisi:

"I RESPONSABILI DI QUESTI AVVENIMENTI SIAMO ANCHE NOI
Non abbiamo fatto nulla perché questi adolescenti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l’indignazione, più tranquilla era la coscienza. Ci siamo comportati razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che…non erano gesti immotivati ed irrazionali. Sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti…che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura per semplice disperazione. Ma non potevamo distinguerli dagli altri. E’ questa la nostra spaventosa giustificazione. Erano giovani…il loro problema era vestirsi alla moda tutti allo stesso modo, avere Porsche o Ferrari, oppure motociclette da guidare come piccoli idioti arcangeli con dietro le ragazze tenute accanto esornativamente: erano insomma giovani come tutti gli altri, niente li distingueva in alcun modo."

Non lasciamo soli i nostri figli, parliamogli, in continuazione, non lasciamo che la tv li educhi per noi, che li istruisca al consumismo edonistico e distrugga nella loro coscienza il valore della vita propria ed altrui. Non c'è nessun predestinato alla violenza, esistono solo giovani che si gettano in orrende avventure per semplice disperazione e/o noia. A volte basterebbe una sola piccola esperienza diversa, un solo semplice incontro, perchè il loro destino sia diverso. Dobbiamo provarci, lo dobbiamo fare per noi e per loro.